sabato 30 novembre 2013

Meglio Taverna o Ruby?


Sulla prima pagina del Giornale ieri campeggiava la foto di Paola Taverna, presidente dei senatori 5 stelle: 

Ecco l’articolo di Salvatore Tramontano:
Ci sono donne che usano il corpo per mettersi in mo­stra e fare carriera, con­quistarsi la fama, buona o cattiva purché se ne parli. Altre si sentono moralmente superiori e per que­sto invece del corpo esibiscono odio. Ma sono così accecate dal ve­leno che sfiorano la stupidità.
Il quesito allora è questo: fa più ma­le la carne o la stupidità? Fa più male il corpo o l’odio? È più danno­so il modello Minetti o quello della senatrice piddina Pezzopane e del­la senatrice grillina Taverna? Le donne Ruby fanno male a se stesse, le seminatrici di odio agli altri. E allora forse sono più furbe. Basta odiare la persona giusta e il succes­so è assicurato.
Prendete Paola Ta­verna, cinque stelle doc, che se ne frega del rispetto umano, alla ba­se di ogni convivenza civile anche quando si hanno idee diverse. La democrazia funziona quando c’è il rispetto dell’altro. Quando non vedi il nemico, ma l’avversario po­litico. Ma tutto questo alla senatri­ce stellare non interessa. Lei spu­ta. Dice: «Berlusconi è una statua di cera e un giorno di questi gli spu­to in testa». E se ne va soddisfatta, in attesa degli applausi.
Stesso di­scorso per Pezzopane, che mette «mi piace» sulla faccia insangui­nata di Berlusconi, convinta di ot­te­nere una standing ovation su Fa­cebook. L’odio vende più della car­ne. E pazienza se l’effetto collatera­le è un cortocircuito nel cervello.
Ecco il video di 12 minuti di quel che ha detto realmente Paola Taverna.
Il riferimento a Berlusconi è al minuto 7′.
Mi sembra strampalato paragonare Ruby o la Minetti alla Taverna, e soprattutto considerarle migliori di lei.

venerdì 29 novembre 2013

giovedì 28 novembre 2013

libro di Marta Serafini su Pizzarotti

esce oggi un bel libro di Marta Serafini (giornalista del Corriere della Sera) su Federico Pizzarotti, da un anno e mezzo sindaco 5 stelle di Parma. Buona lettura

Il 21 maggio del 2012, per la prima volta un rappresentante del Movimento 5 Stelle diventa sindaco di una città italiana. Parma, città segnata da scandali che avevano lasciato un segno profondo e una grossa crisi sia economica sia di identità, volta pagina e diventa un piccolo laboratorio di un nuovo modo di fare politica. A ottenere questo risultato storico è Federico Pizzarotti, personaggio nuovo alla politica, consulente finanziario, che al ballottaggio vince con uno schiacciante 60% dei consensi.
Sul suo tavolo una serie di problemi aperti: il dissesto delle casse comunali, una credibilità da riconquistare, la battaglia contro il nuovo inceneritore. Su di lui sono puntati gli occhi di tutti: Grillo lo esalta, i media lo accusano di qualunquismo e di incompetenza, nelle sue (rare) apparizioni televisive viene spesso messo alle corde da politici più esperti e avvezzi al mondo della comunicazione. Lui, però, non si fa intimorire. Oggi, dopo un anno e mezzo dall’inizio del suo mandato, Pizzarotti racconta la sua esperienza e traccia una prima analisi su cosa vuol dire confrontarsi con il potere, con l’amministrazione pubblica e con la gestione di una città.

immensa Paola Taverna

discorso al Senato per la decadenza di Berlusconi: grande Paola Taverna! (al minuto 8:30" s'incazza e comincia a urlare, è in quei momenti che la preferisco): http://www.youtube.com/watch?v=23hpQq5xkQ0

martedì 26 novembre 2013

Pippo vs. Beppe

Baudo, Craxi e le offese di Grillo
«Una cattiveria sorprendente»

Il conduttore che «scoprì» il comico: dopo di lui la Rai cacciò me 

Grillo e Baudo insieme in tv (archivio Corriere)Grillo e Baudo insieme in tv (archivio Corriere)
Pippo - 77 anni, leggenda della televisione italiana - ci è rimasto male. Beppe Grillo, infischiandosene di ogni forma di riconoscenza, lo ha sottoposto al solito trattamento che riserva ai nemici. «Mi ha definito un leccapiedi, un don Abbondio, un presentatore quasi vivente.. Non me lo merito, no», dice adesso Pippo Baudo (lo conoscete: ha messo su quella voce un po’ cavernosa di quando è triste, e anche lo sguardo, una maschera di amarezza, grigia, lunga).

L’antefatto è abbastanza noto: sabato scorso, ospite a Otto e mezzo su La7 , Baudo, tra amarcord e politica, ha fatto un paio di considerazioni che, per altro, sono le stesse di numerosi osservatori del fenomeno grillino.
La prima: «Sembra che Beppe sia la spalla di Casaleggio» (e Casaleggio, in effetti, è considerato una sorta di ideologo del Movimento 5 Stelle).
La seconda: «Finora i parlamentari di Grillo non hanno inciso. Si muovono, fanno casino...».

Grillo ha risposto sul suo blog teorizzando «la pippite». Sentite. «Baudo è tornato. Un ritornante, un presentatore quasi vivente. Ha attaccato il M5S e leccato il culo a Renzi. Ha spiegato di essere stato cacciato dalla Rai per colpa mia, quando il cacciato fui io e lui slinguò Bettino Craxi, tremante, dissociandosi... La pippite è una malattia dell’animo».

Pippo, non stia così, forza
.
«La cattiveria di Grillo nei confronti del prossimo è sorprendente. Chiunque non gli sia fedele, finisce in un mondo di morti, fantasmi, cadaveri che camminano...».

Piace, così, a milioni di italiani. 

«Mah. I suoi parlamentari sono stati candidati praticamente a caso. E i risultati si vedono. Cos’hanno cambiato? Sono saliti sul tetto di Montecitorio, va bene, e poi? E comunque, guardi, a me non interessa granché la vicenda politica... Mi feriscono gli insulti personali...» (a questo punto, a Pippo la voce inizia un po’ a tremare).

Fu lui, nel 1976, a scoprire artisticamente Grillo. Un paio di amici gli avevano detto: a Milano, a corso Sempione, in un locale che si chiama Bullona, si esibisce un certo Grillo, merita un’occhiata. Pippo va, e si ritrova in una sala deserta, con Grillo fermo sul palco. Pippo allora fa per andarsene, ma Grillo scende e gli dice: «Dove va? Io lo spettacolo lo faccio lo stesso». Seguono due ore strepitose. Pippo porta Grillo in Rai, e lo lancia. Un trionfo. Finché non arriva l’edizione di Fantastico del 1986 e Grillo cambia repertorio, tocca la politica. Un botto.

Pippo, cosa accadde? 

«Allora: una delegazione di politici era andata in Cina. Andreotti accompagnato solo dalla moglie, Craxi seguito da una corte. Così, Grillo, in diretta, se ne uscì con la celebre battuta: “C’è Martelli che dice a Craxi: scusa Bettino, se è vero che i cinesi sono oltre un miliardo e tutti socialisti, ma allora a chi rubano in questo Paese?”».

Craxi si infuriò. 
«Letteralmente. Ma io non lo slinguai, come dice Grillo. Anzi: se Beppe fu cacciato dalla Rai, dopo poco toccò a me. Così accettai la generosissima proposta economica di Berlusconi, che mi chiamò a dirigere tutte le sue tivù e i suoi big dell’epoca: da Corrado a Bongiorno, a Costanzo... Ma durò poco. Rescissi il contratto pagando una penale pazzesca: cedetti un intero palazzetto a viale Aventino, a Roma, dove Berlusconi poi allestì la redazione del Tg5. Per rientrare in Rai dovetti aspettare un anno e mezzo, chiuso nella mia casa di Morlupo, piegato da un esaurimento nervoso. Perché io non sono mai stato socialista ma democristiano. Ragione per cui, infatti, voterò Renzi alle primarie del Pd».

(Estratto di un’intervista rilasciata al Corriere da Pippo Baudo lunedì 10 settembre 2007, poche ore dopo il primo V-day di Grillo a Bologna.
Folle osannanti. 
«Ma un Paese non si migliora con le battute di un comico, si migliora facendo politica».
Lei è preoccupato per Grillo.
«Vede: nei Girotondi di Moretti, per capirci, già mi sembrava ci fosse molta più sostanza. Stavolta... Io voglio bene a Beppe. Non voglio che si faccia male» ). 
Fabrizio Roncone, Corriere della Sera

domenica 24 novembre 2013

Ottimi Taverna e Di Maio

bravi e simpatici oggi a Mezz'Ora su Rai3 Paola Taverna (presidente senatori 5 stelle) e Luigi Di Maio (vicepresidente della Camera).
Ah, se tutti i grillini fossero semplici e solari come loro...

sabato 23 novembre 2013

Grillo liberale: "Né rossi né neri: Biondi"

IL CONSIGLIO DI ANTONIO RICCI ALL’AMICO E EX SODALE DI BISCHERATE BEPPEMAO:
BASTA CON CASALEGGIO E BUFFONARIE: “LA VERA VITTORIA DI GRILLO SARÀ QUANDO IL MOVIMENTO CAMMINERÀ CON LE PROPRIE GAMBE E LUI TORNERÀ A FARE IL COMICO”

“NUTRO UN SANO RIBREZZO PER I PARTITI CARISMATICI, MA DOBBIAMO PRENDERE ATTO CHE SIAMO UN PAESE IPOCRITA, MAFIOSO E CATTOLICO CHE PER PIGRIZIA ATTENDE IL PUPAZZO DELLA PROVVIDENZA PER RISOLVERE I PROBLEMI. OGGI COME IERI CHI SI BUTTA IN POLITICA, NON PUÒ FARE A MENO DELL’ABERRANTE QUALUNQUISMO”

“GRILLO È UN PROVOCATORE E SONO ANNI CHE FA POLITICA, CHE SI OCCUPA DI ECOLOGIA, DI SPRECO DEL DENARO PUBBLICO, DI PUBBLICITÀ TRAVESTITA DA INFORMAZIONE” 


Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"

23 novembre 2013

Ha visto riconosciuto dalla Corte europea il proprio diritto alla libertà di informare, a conclusione della causa «Antonio Ricci contro Italia», nata dalla trasmissione su «Striscia» di un fuorionda per cui era stato condannato dai nostri giudici. Ora un documentario (in onda su Canale 5 il prossimo 4 dicembre) e una collezione di dvd consacrano, trent'anni dopo, «Drive In».
A torto da alcuni confusa con «Colpo grosso», la trasmissione di Ricci creava un linguaggio grazie a talenti come Giorgio Faletti e faceva il verso agli anni Ottanta: il paninaro, la modella che straparlava in pugliese stretto, il bocconiano dall'accento calabrese. 
«Leggo che ora Berlusconi vuol sacrificare la figlia Marina alla politica. Ma se all'epoca avesse sacrificato una delle sue tre reti alla cosca rivale, si sarebbe evitato vent'anni di guerra, anche giudiziaria - dice Ricci -. A sua insaputa, Italia Uno era già la prima rete di sinistra (a RaiTre non c'era ancora Guglielmi): gli autori di sinistra lavoravano tutti lì insieme ai vignettisti di riferimento Staino, Ellekappa, Disegni e Caviglia. Col senno di poi, un grave errore strategico. Berlusconi pensò invece di eternarsi come Trino, accettando l'abbraccio mortale (ieri come oggi) di Formigoni. Infatti tutto andò in malora nel 1988 quando il coro di Comunione e liberazione minacciò un provvedimento all'Autorità giudiziaria, bloccando la trasmissione "Matrioska"...».
La storia di Ricci parte dalla Liguria degli ultimi anni 60.
«Ad Albenga ci eravamo specializzati nel salvare i Fiàt, come chiamavano i piemontesi che scendevano in spiaggia senza saper nuotare. Quando arrivava l'aereo che sganciava i paracadutini con gli omaggi tipo lo shampoo Dop, i Fiàt si gettavano in acqua per recuperarli, spingendosi dove non toccavano. Pur di non abbandonare le ambite prede, andavano a fondo. Noi stavamo al largo con il nostro gozzo, e ne salvammo a decine. Una sera raccontai questa storia a Cuneo. In fondo alla sala si alzò una mano: "Allora è lei che quella domenica mi salvò la vita..."». 
«Giravo sempre con la chitarra, suonavo anche in treno, per i pendolari ero una star. A Genova avevo conosciuto De André, stupito di ricevere diritti d'autore da posti per lui esotici come Stellanello o Diano Borello: il mio gruppo era rock ma, per i patiti del liscio, come valzer suonavamo la sua "Ballata del Miché".
Un giorno la cameriera del bar dell'università di via Balbi mi propose di suonare anche nel locale dove arrotondava nei weekend, il Jolly Danze. Era una baleraccia enorme, che occupava i sotterranei di due teatri. Lì conobbi Beppe Grillo, che chiamavamo Giuse. Era il 1970. Io ero impegnato a sinistra, cantavo nelle manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Lui faceva spettacolo per la campagna elettorale di Alfredo Biondi, l'avvocato liberale. Lo slogan era: "Né rossi, né neri; Biondi". 
La politica non gli interessava, però era già un tipo tosto, coraggioso. Crozza è bravissimo, ma a Sanremo si è bloccato perché non è un cabarettista, è un attore. Non ha la corazza di bestiacce tipo Benigni, Fiorello, Bisio. Gente da battaglia. Pensi che una volta con Grillo ci esibimmo in una bocciofila di Savignone, nell'entroterra ligure. Ci misero nell'unico angolo illuminato: in fondo alla pista, al posto del boccino».
Poi Ricci si spostò a Milano, al Derby.
«Comandava Bongiovanni, lo zio di Abatantuono. Un uomo dolce e spietato. Ti faceva i provini di pomeriggio, se gli piacevi ti lasciava andare in scena, a una condizione: "Se non va, io spengo la luce e tu fuori". Non so a quale stadio fu eliminato Grillo. Fatto sta che si vendicò atrocemente. Fece credere che sarebbe arrivato al Derby Woody Allen, gratis, per una campagna in favore dei pellerossa, a patto che all'ingresso, Bongiovanni montasse tre tende indiane... 
A scoprire Giuse fu Baudo. Arrivò in un altro cabaret di Milano, la Bullona, in cerca di talenti. Era l'unico spettatore. Grillo fece lo spettacolo solo per lui. Baudo ne fu folgorato, lo ribattezzò Beppe e lo chiamò in Rai. Ma lui aveva un repertorio limitato: canzoni di Del Prete, Brel, Pippo Franco, brani di Walter Chiari, gli serviva un autore. Così venne al Derby, io ero sul palco, incurante del pubblico con ampi gesti mi fece capire che doveva parlarmi con urgenza: "Aiutami, se no mi scoprono e sono rovinato"».
«Andammo ad abitare insieme a Roma. Prima in un residence, dove però si era rotto il riscaldamento. Faceva un freddo cane, ci scaldavamo col phon e facendo bollire pentole piene d'acqua. Baudo ci invitò a casa sua. Come usciva indossavamo i suoi vestiti, gli spettinavamo i parrucchini e io prendevo ispirazione per i futuri sketch del "Drive In"». 
«Vennero le elezioni del 1983. Vespa conduceva la diretta, Grillo faceva gli intermezzi satirici e io gli scrivevo i testi. Ne approfittammo per attaccare Craxi che al comizio di Milano si era presentato con Armaduk, "cane socialista". "Al Polo Armaduk si è mangiato l'antenna della radio di Fogar. I socialisti si stanno mangiando le antenne delle tv di tutta Italia...".
Quando arrivò la notizia del crollo della Dc, Giuse rubò dal fondale la gigantografia di De Mita. Vespa ci guardava con odio. Alla fine Mario Maffucci, il capostruttura, ci intimò: "Voi due non muovetevi, che Emmanuele Milano, il direttore di RaiUno, vi deve parlare". Fummo salvi perché dai piani alti arrivò la notizia che aveva telefonato Pertini, dicendo che non si era mai divertito tanto in vita sua». 
«Pertini conosceva bene mio nonno, un vecchio socialista con il papillon, la cui sorella Paquita aveva fondato la sezione del Pci di Albenga e un'altra sorella era stata arrestata durante una sommossa di donne che protestavano contro la Grande guerra. Noi ragazzi di Albenga, anche se non eravamo socialisti, andavamo sempre ai comizi di Pertini: erano cabaret puro. Leggenda narra che a Savona, finita la guerra, lasciò la fidanzata dal palco, annunciandole che tra "le coppie travolte dalla violenza nazifascista" c'erano anche loro. Un'altra volta, a Borghetto Santo Spirito, fu interrotto da un fischio. Gridò: "Ecco i soliti provocatori fascisti...".
Era stato un bambino: "Sandru, u l'è un fieu...". E lui, indignato: "Non è un fascista, ma lo diventerà!". Sapeva parlare alla pancia della gente. Anche Natta, durante i suoi comizi, per essere più vicino al popolo, si toglieva la giacca e si rimboccava le maniche. Ma sulla sua mancanza di carisma il "Drive In" pullula di battute. C'è una puntata esemplare dove alle considerazioni di Beruschi Greggio risponde "Lei è di un qualunquismo aberrante, potrebbe fondare un partito" e gli rifila il kit del candidato. Io nutro un sano ribrezzo per i partiti carismatici, ma dobbiamo prendere atto che siamo un Paese ipocrita, mafioso e cattolico che per pigrizia attende il Pupazzo della Provvidenza per risolvere i problemi. Oggi come ieri chi si butta in politica, e basa sul carisma il suo successo, non può fare a meno dell'"aberrante qualunquismo"». 
Vale anche per Grillo?
«Grillo è un provocatore e sono anni che fa politica, che si occupa di ecologia, di spreco del denaro pubblico, di pubblicità travestita da informazione. La domenica delle elezioni lo chiamai, a urne ancora aperte, e lui mi disse alla virgola i voti che avrebbe preso: 25,5%. Ma la vera vittoria di Grillo sarà quando il movimento camminerà con le proprie gambe e lui tornerà a fare il comico. Se ci riuscirà lo scopriremo solo vivendo». 
Renzi come le sembra? 
«Del leader carismatico ha tutte le caratteristiche. È un venditore straordinario, al livello di Berlusconi giovane. Ma molto dipende dalla qualità del suo prodotto. E del suo aspirapolvere non sappiamo ancora nulla. Sappiamo che troppi sono saliti sul suo carro, appesantendolo. Nei prossimi dieci anni il mondo correrà come un fulmine, non possiamo inseguire con la cyclette» .

venerdì 22 novembre 2013

Paranoia a 5 stelle

GRILLO VEDE ORMAI COMPLOTTI OVUNQUE: “A CHI GIOVA LA TAV? ALLA ‘NDRANGHETA”! – E ANCHE TRAVAGLIO SI È STUFATO DEL M5S…

Non solo Michele Serra anche il vicedirettore del Fatto prende le distanze dai 5 Stelle: “Ma come fate un figurone con la mozione di sfiducia alla Cancellieri e poi accusate il Fatto di aver mentito sulla notizia vera, e per nulla scandalosa, della richiesta di un contributo ai parlamentari per autofinanziare il prossimo V-day?”… 

Marianna Rizzini per "Il Foglio"

22 novembre 2013
 
Michele Serra si è stufato di "giudicare con indulgenza" la "modesta caratura culturale di parecchi eletti delle Cinque stelle", visto che i medesimi hanno chiesto alla commissione Cultura della Camera di cancellare l'attributo "socialista" per Giacomo Matteotti e di rimpiazzare la parola "socialismo" con "la ridicola perifrasi ‘cultura sociale, economica, ambientale'" (Serra, nella sua "Amaca" su Repubblica, si chiede altresì che cosa possa aver spinto a tanto i Cinque stelle: forse il fatto che Grillo associ storicamente la parola "socialista" a "ladro"? In ogni caso "l'incauto ideatore di questa scemenza censoria", scrive, dovrebbe "leggere qualche libro" e "sollevare la testa" dalla "ininterrotta ciancia in rete che alla lunga inebetisce e inganna").
 
Ma anche Marco Travaglio, non certo un nemico di Beppe Grillo, si è stufato di vedere i Cinque stelle che "ogni volta che si differenziano dai partiti, fanno di tutto per scimmiottare i partiti". E molto ha trasecolato, ieri, sul Fatto: ma come, ha scritto, nel giorno in cui fate "un figurone con la mozione di sfiducia alla Cancellieri", decidete di "sputtanarvi" con un "inverecondo commento sul blog" che accusa il Fatto di aver mentito "sulla notizia vera, e per nulla scandalosa, della richiesta di un contributo ai parlamentari per autofinanziare il prossimo V-day"? 
E dire che Michele Santoro quasi ci aveva discusso, con Travaglio, una settimana fa, a "Servizio Pubblico", di fronte allo stesso Travaglio che, notava Santoro, "difendeva" sempre e comunque Grillo.

Ma una settimana è un secolo e anche al Fatto, evidentemente, non ne possono più della paranoia persecutoria di cui molti Cinque stelle paiono vittime recidive, tanto da non accorgersi che è proprio quella ad accelerare lo sgretolamento del consenso in un mondo che li sosteneva o li guardava con interesse.

Sembra più forte l'attrazione per il dettaglio "marcio", e il richiamo della caccia ai nemici più vari: ieri Enrico Lucci de "Le iene" (per il montaggio di un'intervista), l'altro ieri "Piazzapulita", il giorno prima gli imprenditori del mercato ittico (titolo del post: "Ecco che cosa fanno ai pesci prima di venderli").
 
E' il giorno in cui i Cinque stelle annunciano di voler chiedere anche in Senato la sfiducia per il ministro Annamaria Cancellieri. E' il giorno in cui dicono: grazie a un nostro emendamento la Camera potrà recedere dai contratti di affitto milionari. Ma è pure il giorno in cui la grandeur dei tweet di Grillo (c'è il V-day tra dieci giorni) scricchiola sotto i colpi degli autogol dei suoi.

I Cinque stelle stanno perdendo gli ultimi giapponesi che li difendevano contro se stessi o che li guardavano incuriositi. Stanno perdendo anche i critici indulgenti, quelli che avevano sognato l'accordo Grillo-Pd e, per dare addosso al Pd, salvavano in ogni caso Grillo.
 
Stanno perdendo il supporto nella tv anticasta, ma pensano di poter fare a meno di questi e di quelli, avviluppati come sono nella spirale di azioni di lana caprina (tipo scatenare di primo mattino l'iradiddio contro la presidenza della Camera "omertosa" - con relativo "mailbombing" - per ottenere il rilascio di un video di qualche settimana fa in cui il deputato del Pd Enzo Lattuca, così scrivevano i Cinque stelle, "aggrediva" la deputata del M5s Maria Edera Spadoni, "mettendo la sua faccia naso a naso come un bullo di periferia".
 
Lattuca rispondeva: mostratelo pure, il video, non ho aggredito nessuno. Intanto su Twitter, in tutta Roma, e dalle redazioni ancora assonnate, saliva un gigantesco: "Perché? Video de cheee?"). Ma il diavolo sta appunto nel dettaglio, nelle ore di tiritera internettiana, nella battaglia sul "de minimis" del dissenso interno ("perché Grillo non prende una sede a Roma?", si chiede il senatore di M5s Mario Giarrusso). Il diavolo sta pure nel rimando a una pletora di superstizioni e leggende metropolitane (sul blog di Grillo c'è persino un post su un "misterioso animale" marino trovato "lontano dal mare"; e c'è l'infografica sulla tizia che si è fatta impiantare un gioiello nell'occhio - altro che microchip).
 
Poi arriva il post di Grillo sulla Tav, con la domanda classica del complottismo mondiale: cui prodest? Risposta suggerita dall'ex comico: alla 'ndrangheta (ma nel sondaggio proposto agli attivisti, tra le opzioni, si legge anche: "Agli amici di Berlusconi" e "alle cooperative rosse" - perfetta par condicio). "Vox populi, vox Dei", scrive Grillo, ed è il suo problema: magari non la condivide, e però ormai è in ballo e con quella deve ballare.

martedì 19 novembre 2013

Fronda M5S: Casaleggio non ci fa decidere


Fronda M5S: Grillo e Casaleggio non ci fanno decidere


di Annalisa Cuzzocrea - La Repubblica

ROMA - Un giro di e mail vorticoso. Una serie di attacchi alla Comunicazione e a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Vogliono trasformarci in un partito come gli altri, dove gli iscritti al blog hanno lo stesso ruolo dei tesserati, dove alla fine chi comanda sono sempre i capi».

È un senatore di quelli che di solito non si espongono troppo a riassumere così gli ultimi giorni di liti on line nel gruppo dei 5 stelle al Senato. Liti che nascono dall'uso della tanto sofferta piattaforma, l'applicazione che doveva consentire di prendere decisioni dal basso, e che per ora si è rivelata un bluff. Impedisce ai parlamentari di fare proposte di legge che non siano certificate dal blog, ma non dà loro modo di interagire davvero con la base perché non esiste una gerarchia dei suggerimenti, non c' è un sistema che metta più in alto i più votati e accantoni quelli inutili. 

«Io non posso leggere 10mila commenti per capire cosa vogliono gli iscritti, è una farsa», lamenta un "portavoce". E non è il solo. A protestare apertamente sono i senatori da tempo più critici: Fabrizio Bocchino, Maria Mussini, Monica Casaletto, Elena Fattori, Lorenzo Battista. «L'unica persona che può decidere quale strumento informatico usare è Casaleggio, che in assemblea con noi si è confrontato solo per dire che sarebbe andato via se sostenevamo un governo con il Pd», si legge in un'e mail. E un' altra: «Gli attivisti certificati sono 70mila, quindi meno dell' 1 per cento di coloro che hanno scelto di mettere il loro futuro nelle nostre mani. Statisticamente insignificante a convogliare le richieste di coloro di cui noi dovremmo essere la voce». 

Molti parlamentari contestano proprio l'individuazione della "base" in nomi che sono conosciuti solo dalla Casaleggio Associati: «Per quello che siamo dovremmo muoverci in una situazione di trasparenza assoluta. Dovremmo sapere con precisione quanti e chi sono gli iscritti, nessuno di noi vuole far parte di una società segreta». E ancora: «Io continuerò a chiedere un incontro con Casaleggio, voglio capire da lui perché non va bene la piattaforma di Barillari (candidato alla Regione Lazio, ndr) in sperimentazione all' europarlamento. Però vorrei risposte reali e un reale confronto, non un passaparola tra generali e caporali tremebondi». 

Era già successo un paio di settimane fa, quando dopo il divieto di streaming imposto dallo staff al gruppo del Senato per una riunione, contro Claudio Messora (di cui alcuni vogliono le dimissioni) si erano scatenati a chiedere: «Come fai a parlare di giurisdizione? Noi saremmo sotto la giurisdizione di qualcuno? Quando è stato deciso?». E quando un gruppo, capitanato da Laura Bignami e Luis Orellana, era andato a fare queste rimostranze a Grillo, alla fine della sua giornata al Senato, e si era sentito rispondere: «Non sono venuto qui per farmi processare». 

Sono dodici quelli che hanno deciso di star buoni fino al V Day del 1° dicembre, ma di chiedere spiegazioni a voce alta subito dopo. Francesco Campanella non ha partecipato alle liti via mail, ma non teme di dire che così non va: «Grillo e Casaleggio hanno disatteso la promessa di democrazia dal basso su cui si fonda il Movimento».

link all'articolo di Annalisa Cuzzocrea

lunedì 18 novembre 2013

La Stampa: Messora nei guai


Grillini, veleni e accuse via email
Nel mirino il ruolo di Casaleggio

I dissidenti: ha troppo potere. E parlano di un nuovo gruppo

ANDREA MALAGUTI

ROMA
Domenica. Bar nel centro di Roma. Un senatore Cinque Stelle mostra il velenoso carteggio via mail tra una serie di colleghi e Claudio Messora, responsabile della Comunicazione del Movimento a Palazzo Madama. Un compagno di viaggio fino a ieri. Il nemico oggi. Ma è Messora l’obiettivo di questo nuovo melodramma di Palazzo, apparentemente destinato a a chiudersi con una scissione subito dopo il V-Day («Lo so, sembriamo Scelta Civica o il Pdl-Forza Italia, fa male ma è così»), o sono le Guide Illuminate Grillo e Casaleggio? «L’obiettivo è evitare che il Movimento si trasformi nell’ennesima esperienza autoritaria», dice il senatore, lasciando cadere le braccia come se fossero improvvisamente attratte dal pavimento. «Legga. Ci vogliono trasformare in un partito come gli altri. Anzi, peggio». 

Beve un caffè d’orzo. Poi mostra le mail. Qui non ci sono falchi e colombe. Piuttosto vipere e manguste. Il linguaggio informale e spietatamente franco della posta elettronica rivela le lacerazioni di un universo terremotato. L’ultima scusa per azzuffarsi è la «piattaforma web» alla quale affidare le proposte di legge immaginate dai cittadini. Uno strumento che lo stesso Messora ha definito «poco più di un forum, un mezzo da perfezionare, comunque il primo passo verso una rivoluzione». A chi gli contesta che in questo modo Casaleggio parcellizza la partecipazione degli elettori e controlla direttamente gli interventi sul blog, il Capo della Comunicazione replica: «Le persone di cui voi senatori portate la voce sono (come in ogni partito) i comparabili ai tesserati. La democrazia diretta la fai con chi decide di partecipare attivamente».  

Una risposta che scatena la bufera. «Questa è l’idea di democrazia diretta a cui pensano Grillo, Casaleggio e il loro caporale sul campo a spese degli italiani», si lamenta il senatore, mostrando la mail della collega XXX che recita. «Quanti sono gli attivisti certificati? Circa 400.000. Quanto sono gli elettori M5S? Circa 9 milioni. Quanti sono i cittadini interessati dalle leggi proposte e approvate? Oltre 60 milioni». Siamo un Movimento orizzontale o verticale? Immediata la risposta di Messora («XXX ti rendi conto che i dati sugli attivisti certificati risiedono sui server della Casaleggio? Se non usi la piattaforma integrata come credi che una vostra proposta possa trovare legittimazione?») che scatena l’ironia di un altro dissidente. «XXX rassegnati, anche tu non emani la luce». 

Non è solo la piattaforma ad alimentare il disagio. Anche la scelta di mandare in streaming solo una parte delle riunioni dei cittadini-senatori non convince la minoranza dissidente. «La diretta è Comunicazione, impatta sull’immagine complessiva del Movimento, dunque ricade sotto la giurisdizione non dell’assemblea, ma di Grillo /Casaleggio. Qui rappresentati da me», scrive Messora. Così una senatrice, apparentemente in preda all’angoscia di chi è convinto che la notte durerà per sempre, si ribella. «ALT!!! Leggo cose inaccettabili. GIURISDIZIONE? Claudio sei sicuro di conoscere il significato dei termini che usi? Se sì, mi giunge nuova la notizia di avere una giurisdizione da parte di Grillo (Casaleggio?) o di chiunque su quello che facciamo». 

E quel Casaleggio tra parentesi è l’emblema del collasso imminente. Inevitabili anche le accuse sul denaro. Un dissidente si sfoga: «Claudio, del tuo trattamento economico e del tuo comportamento parleremo con Casaleggio, complice di tutto ciò», Complice. E un altro: «Ne parleremo anche con gli attivisti, che già si sono accorti delle ingenti spese del gruppo per il tuo alloggio, oltre che della tua diaria e del tuo compenso fuori dal codice di comportamento». 

Messora non ci sta. Attacca. «Io non ho nulla che non sia trasparente (allega il link con la busta paga), gli attivisti invece si sono accorti dei 1800 euro in un mese e mezzo per abbigliamento e lavanderia e dei 1950 euro di abbigliamento e spese per la campagna elettorale». Siamo agli stracci. C’è chi interviene in difesa del Capo della Comunicazione. E del Guru milanese. «YYY per me stai delirando. Il nostro problema è Messora? Per carità, torniamo in noi».  

Troppo tardi. I dissidenti, che a pranzo parlano apertamente di un nuovo gruppo, considerano gli ortodossi più estranei dei pastori del Sahel che almeno vedono nei documentari del National Geographic. Ma è più facile rimanere affascinati dagli altri quando li vedi in tv. O su un pc. La realtà è sempre un’altra cosa.

venerdì 15 novembre 2013

Formidabile Franco Piperno

interessante analisi del capo sessantottino e dell'Autonomia Franco Piperno su M5s, democrazia diretta ("diretta da Grillo"?) e l'eterno dilemma movimento/organizzazione:


La cuoca e Lenin

L'incontro-scontro tra centri sociali e 5 Stelle

Franco Piperno

Alcune delle idee-forza del movimento M5S hanno ascendenze lontane. Si avverte, per chi eserciti l’arte della memoria, l’eco della parole d’ordine comuni ai movimenti degli anni 70. Il reddito di cittadinanza; la democrazia diretta; l’esercizio spesso inconsapevole di una certa potenza destituente; il rifiuto del lavoro salariato perché aliena e l’attrazione per l’attività scelta liberamente perché realizza; la critica beffarda al sistema dei partiti; un sentimento di estraneità ostile verso l’ideologia lavorista e progressista, per quella illusione di conseguire la felicità cercando d’arricchirsi in fretta; e così via.

V’è ancora qualcosa di comune in quella sorta di appercezione della trasformazione sociale come processo interiore, esercizio di autocoscienza; perché il nemico non è tanto fuori di noi ma piuttosto dentro di noi, e prima di cambiare il mondo bisogna mutare le nostre idee sul mondo. Per dirla in altri termini, la psicologia del sovra consumo di massa, quella del cittadino in quanto “consumatore obeso” è senza dubbio addebitabile alla smodata produzione di merci in cerca d’acquirenti, ma non si può non riconoscere che tutta la baracca, dirò così il sistema, riposa, in buona misura, sulle condotte complici del cittadini stessi.

Va da sé che queste similitudini non comportano, certo, una qualche identità tra il ciclo insurrezionale “68-78” e il movimento di cui Grillo si fa portavoce. Basterà, a questo proposito, ricordare che vi sono concetti-chiave, comportamenti e slogan di questo movimento che lo pongono agli antipodi dei movimenti di mezzo secolo fa -- come la convinzione che l’informazione sia di per se comunicazione; una certa prassi che sembra proporre una versione di democrazia che è sì diretta ma diretta da Grillo; l’uso del carisma per organizzare il consenso piuttosto che per liberare la coscienza colonizzata del cittadino consumatore; per non parlare di più di una tentazione statolatrica e xenofoba; di qualche eccedenza securitaria e piccolo borghese, quando non propriamente plebea, ipocrita concessione al buon senso ingenuo e forcaiolo delle procure; tratto questo ultimo che finisce col collocare M5S ben dentro l’ormai saturo antiberlusconismo – il lascito il più malefico del cavaliere di Arcore. E tuttavia sono le analogie che contano, che prevalgono; le analogie con quel che è già accaduto e accadendo ha mostrato di potere riaccadere, di potersi ripetere, d’essere una potenzialità; e sono queste analogie che risultano decisive ai fini dell’intelligenza della situazione politico-sociale nella quale siamo gettati.

Vediamo le cose più da vicino. Il passaggio davanti al quale M5S si trova è una sorta di cambiamento di fase: dal movimento all’organizzazione del movimento. Se questo passaggio fosse, per qual si voglia motivo, impraticabile il volto del fenomeno ne risulterebbe definitivamente accartocciato, come una foglia riarsa; ed assisteremmo ad una decrescita esponenziale del M5S, con lo stesso ritmo con il quale s’era data la crescita.

Ora, un movimento di massa ha solo due forme disponibili per avviare la propria organizzazione: la forma partito e quella della democrazia assembleare o diretta che dir si voglia. Qui non ci occuperemo della forma-partito, la lobby elettiva, perché essa, nel nostro paese, risulta ben familiare, sfortunatamente -- ne facciamo, infatti, quotidiana esperienza. Ci limiteremo a ricordare, nei termini astratti del diritto costituzionale moderno, che, nelle democrazie rappresentative, la sovranità appartiene al popolo ma il suo esercizio è, appunto, riservato ai partiti, al ceto politico. Per essere più espliciti, il popolo, questa cattiva astrazione, ha la titolarità della sovranità, ne è il proprietario; ma l’uso, ovvero l’azione sovrana, gli è interdetta e viene delegata permanentemente agli eletti dal popolo.

Viceversa,la democrazia diretta è una forma che prescinde dal partito; essa, per alimentarsi,ha bisogno ogni volta di ritrovare le sue radici, talmente antiche da risultare arcaiche; necessita ogni volta di un ritorno all’origine, al primitivo, alla dimensione politica nel senso originario del termine; cioè all’ abitare, alla fondazione e all’autogoverno della città - tratto antropologico, questo, che caratterizza la specie umana.

L’agenzia fondante è qui l’assemblea, la piazza, l’ecclesia, costituita dalla simultanea presenza dei cittadini attivi. I corpi in presenza convertono, l’uno nell’altra, il pensiero nell’azione e viceversa; sicché “fatto” e “vero”, mezzo e fine, coincidono. La consuetudine di discutere e decidere insieme, ma già il nudo prendere la parola in pubblico, trasforma, può trasformare, “ il consumatore incompetente e anonimo ” in “individuo sociale”, dalla capacità comunicativa enorme, all’altezza della specie - il pensare globalmente e l’ agire localmente apre alla possibilità di autorealizzazione, di mutare la sorte in destino, senza residui, qui ed ora, nel presente, nella “vita activa”.

Un congegno abitudinario che, storicamente, si accompagna alla democrazia diretta è il dispositivo della elezione del delegato a mandato vincolante oltre che breve e revocabile. Così il rappresentante non può liberarsi dall’assemblea che l’ha eletto; e quest’ultima continua ad essere il luogo della concentrazione di tutti i poteri, il luogo della dittatura come la più elevata tra le magistrature, della potenza collettiva ricondotta ad unità. Infine, per ultimi ma non ultimi, vengono gli istituti della rotazione e del sorteggio dei ruoli apicali, delle cariche pubbliche; istituti questi che, insieme, risultano essere un formidabile antidoto alla cospirazione delle inevitabili lobby, come all’ambizione dei demagoghi -- proprio perché aprono al caso, consentendo l’improbabile: la cuoca può accedere al governo.

Non è vano qui ricordare, a proposito di cuoche, che Lenin, nei mesi immediatamente precedenti l’Ottobre Rosso, ebbe modo di scrivere, nel suo famoso opuscolo “Stato e Rivoluzione” del 1917, che la rivoluzione coincideva con il processo di deperimento dello stato; e questa stessa estinzione avrebbe permesso, finalmente, agli “incompetenti” , la cuoca appunto, di governare. Certo in Russia le cose non sono andate proprio come Lenin aveva immaginato; ma, come dire, l’affondamento della nave “Concordia” non smentisce la validità del principio di Archimede.

Per tornare a noi, in Italia, nella misura in cui M5S resisterà alla tentazione di divenire partito, e si auto organizzerà secondo i canoni della democrazia diretta, allora e solo allora si porrà la questione della sua relazione con il movimento dei Centri Sociali; un incontro scontro, tra coloro che sono “dentro e contro” e quelli che si schierano “fuori e contro” -- secondo la regola del marciare divisi per colpire uniti. E l’appartenenza del M5S al movimento “NO TAV” è un chiaro indizio di come tutto ciò sia possibile, forse addirittura inevitabile. L’incontro scontro tra questi due insorgenze porterebbe in dono ai militanti dei centri sociali la capacità di parlare al senso comune, uscendo dall’asfissia della setta; e ai cittadini del M5S, la memoria di tutto ciò che è già accaduto, in Italia e nel mondo, nel processo d’emersione dell’individuo sociale; e con la memoria l’arma del pensiero critico.

Se le cose stanno così, converrebbe facilitare, con la maieutica, questo incontro scontro tra la cuoca e Lenin, preparando l’evento; e ancor meglio sarebbe anticiparlo. In fondo, come recita l’omelia di Francesco I - un papa che è a ben vedere non è che una reincarnazione, sia pure più potabile, del compianto prof. Cacciari - è solo una questione d’aver fede, una fede depurata d’ogni speranza.

http://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/2666-franco-piperno-la-cuoca-e-lenin.html

Grillo distrugge Epifani

prova del fuoco ieri a Matera: comizio di Grillo, e subito dopo dallo stesso palco Epifani (Pd). Ecco il risultato

Paola Taverna e malattie rare neonati

Per tutti i neonati

Screening neonatale per la prevenzione delle malattie rare: una proposta contro le discriminazioni dei sistemi sanitari regionali

20 novembre 2013
dalle ore 16 alle 17.30
Sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama, Roma

intervengono le senatrici Paola Taverna (M5s), Emilia Grazia De Biase (Pd), Laura Bianconi (Pdl)
e i Prof. Bruno Dallapiccola, Dott.ssa Manuela Pedron, Dott. Giancarlo La Marca, Dott. Francesco Macchia

Con il prelievo di una sola goccia di sangue possono essere salvate molte vite. Ma in Italia solo poche regioni garantiscono lo screening.
Il Movimento 5 Stelle ha presentato un disegno di legge per rendere la diagnosi precoce un diritto per tutti i neonati italiani.

Una gravidanza normale, la nascita di un neonato apparentemente sano, le dimissioni dall’ospedale; poi, più avanti nel tempo, i primi sintomi, le corse da un ospedale all’altro in cerca di risposte, il progredire dei segni di una malattia spesso invalidante, in alcuni casi fatale.
La maggior parte delle volte la causa è una malattia metabolica rara, difficile da prevedere ma potenzialmente facile da individuare nelle prime ore di vita del neonato.

La differenza tra la salute e la disabilità, o anche tra la vita e la morte di questi neonati, può essere fatta dallo screening neonatale (newborn screening), un esame semplice e non invasivo che permette oggi di individuare precocemente oltre 40 possibili malattie rare e di mettere in atto strategie – spesso dietetiche, a volte anche farmacologiche – per evitare che si sviluppino gli effetti del male, non eliminandolo ma ‘neutralizzandolo’, del tutto o in gran parte.

Si tratta, dunque, di drammi evitabili. Ma cosa facciamo in Italia per evitarli davvero? Si potrebbe fare meglio, e come?
Su queste domande e intorno ad una proposta concreta, un Disegno di Legge già depositato in Parlamento, esperti, clinici e mondo politico si confrontano mercoledì 20 novembre al Senato, nel convegno “Screening neonatale per la prevenzione delle malattie rare: una proposta contro le discriminazioni dei sistemi sanitari regionali” organizzato dalla senatrice Paola Taverna, Capogruppo del Movimento 5 Stelle, con l’adesione della Sen. Laura Bianconi (Pdl) e della presidente della 12° Commissione permanente (Igiene e Sanità) Emilia Grazia De Biasi (Pd).

Alla conferenza, moderata da Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore Osservatorio Malattie Rare, parteciperanno anche Manuela Pedron, Vicepresidente di Aismee Onlus – Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche; Giancarlo Lamarca, Direttore del Laboratorio di Screening Neonatale della Clinica di Neurologia Pediatrica del Meyer (FI); Bruno Dallapiccola, Direttore Scientifico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – Coordinatore Orphanet Italia e Francesco Macchia, Partner Nomos Laboratorio Politiche Sanitarie.

Le malattie metaboliche ereditarie si manifestano nei bambini nei primi anni di vita, ma possono esordire anche in età giovanile o adulta; sono gravi, progressivamente invalidanti e, se non riconosciute in tempo utile, possono provocare handicap fisici e mentali permanenti e morte precoce.
Tali situazioni potrebbero in buona parte essere evitate attraverso una pratica diffusa di screening neonatale, esame non invasivo effettuabile subito dopo la nascita che permette di identificare un ampio gruppo di malattie prima che queste si manifestino clinicamente.

In Italia l’articolo 6 della legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104 ha introdotto lo screening neonatale solo per tre malattie: ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria.
I risultati sono stati ottimi. In questi 20 anni la medicina ha fatto enormi passi avanti. Oggi sarebbero molte di più le patologie screenabili, almeno una quarantina. Non essendoci un obbligo ad offrire l’esame a tutti i bimbi la palla passa però alle Regioni, che in Italia portano avanti politiche molto difformi, andando dalla Toscana che già dal 2004 attua uno screening metabolico allargato della massima ampiezza, fino a regioni che eseguono a malapena i test d’obbligo.

Questa situazione produce gravi discriminazioni nel diritto alla salute e alla vita: un neonato con la stessa patologia può essere salvato in alcune regioni e condannato alla disabilità o alla morte in altre.
Con il DdL “Disposizioni in materia di accertamenti diagnostici neonatali obbligatori per la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche ereditarie”, presentato dalla senatrice Taverna e firmato da rappresentati di tutti gli schieramenti politici, si intende porre rimedio a questa situazione favorendo l’uniformità delle politiche nazionali e mirando a consentire la diagnosi di malattie per le quali è oggi possibile effettuare una terapia. Tale scopo è peraltro in linea con le 25 Raccomandazioni della Commissione Europea del maggio 2004, relativa alle malattie rare, che raccomandano che «gli Stati membri istituiscano in via prioritaria uno screening neonatale generalizzato per le malattie rare ma gravi, per le quali esiste una cura».

Spesso nella sanità ci si scontra con difficoltà legate ai costi e alla mancanza di fondi. Se adeguatamente fatto su scala nazionale lo screening neonatale è però assolutamente sostenibile.
Basta considerare che fra i difetti identificabili con questo esame c’è il deficit dell’enzima Mcad (medium chian acyl-CoA dehydrogenase), una delle possibili cause di morte improvvisa del lattante (Sids). Se non diagnosticato, un neonato con questo difetto può morire nei primi giorni di vita o rimanere in vita con danni neurologici permanenti.
In quest’ultimo caso i costi sanitari per il trattamento terapeutico e per il sostentamento alle famiglie può raggiungere anche centinaia di migliaia di euro all’anno per paziente.

Con lo stesso contributo economico si può effettuare lo screening di un’intera regione per tutti i difetti. Per questo motivo tutta la letteratura scientifica internazionale riporta che il solo screening per questa malattia giustifica lo screening allargato di popolazione neonatale.
Lo screening neonatale eviterebbe inoltre anche un lungo periodo di incertezza della diagnosi, con elevati costi umani e anche sanitari in termini di visite, indagini e ricoveri e cure inadeguate.