mercoledì 18 dicembre 2013

I poteri forti si preparano al M5S

MERRILL LYNCH: "ELEZIONI NEL 2015? FAVORITI I 5 STELLE" - "RENZI SBAGLIA A DARE PRIORITÀ ALLE RIFORME ISTITUZIONALI RISPETTO ALLA CRESCITA ECONOMICA"

«Una volta che il M5S dovesse superare la soglia del 30%, diventerebbe un candidato credibile a conquistare un’indiscussa maggioranza alle prossime elezioni politiche, che secondo noi si terranno nel 2015»…
 
Corriere della Sera

18 dicembre 2013

Eventuali elezioni nel 2015? Potrebbero vincerle i Cinque Stelle. A dirlo è un report di due analisti di Bofa Merrill Lynch, Raffaella Tenconi e Laurence Boone. 
Lo studio, dedicato alla situazione economica italiana e a Matteo Renzi, sottolinea come l'«eccessiva virtuosità» nei termini di «un continuo forte impegno a mantenere il deficit sotto il 3% del Pil, senza tenere in considerazione quale sia la performance del Pil, combinata con l'asticella sempre più alta posta dalla Bce per misure addizionali di stimolo all'economia, favorirà i partiti che più apertamente si oppongono allo status quo, cioè il Movimento 5 Stelle e, in misura minore, Forza Italia e la Lega Nord».

«Una volta che il M5S dovesse superare la soglia del 30%, diventerebbe un candidato credibile a conquistare un'indiscussa maggioranza alle prossime elezioni politiche, che secondo noi si terranno nel 2015», scrivono. 
Non solo. Gli analisti sono critici verso la strategia del segretario pd, Matteo Renzi, che «dà la priorità alle riforme istituzionali rispetto alla crescita economica». La scelta «potrebbe ritorcersi contro di lui, a causa della forte e crescente rabbia degli elettori».

martedì 17 dicembre 2013

Taverna, la nuova Pannella

La senatrice Paola Taverna, capogruppo M5S, restituisce i soldi del finanziamento pubblico ai passanti per strada.
Lo avevano fatto i radicali 20 anni fa




lunedì 16 dicembre 2013

Premio per il giornalista più bravo

per compensare la "lista dei giornalisti cattivi" e attirare simpatie, il Movimento 5 stelle istituisce un concorso settimanale per il giornalista più bravo nel dare notizie su argomenti come ecologia, democrazia diretta, lotta agli sprechi, onestà in politica, ecc.

Premio: cena con l'incantevole Paola Taverna

firmato: I Tavernicoli, Fan Club della senatruce col mattarellum

venerdì 13 dicembre 2013

Innocenzi vs Fico

l'Italia è l'unico Paese al mondo in cui dei poveri pseudogiornalisti rincorrono i politici davanti ai portoni di Camera e Senato per lanciar loro qualche domanda. Uno spettacolo deprimente, da Terzo Mondo.

Era iniziato per scherzo una dozzina d'anni fa, quando Striscia la Notizia o Le Iene organizzavano agguati per sputtanare i parlamentari. Finché sono programmi comici, ok.
Ma ormai qualsiasi talk show si sente obbligato a trasformarsi in stalk-show, con la innocente che molesta il fico.

Unica giustificazione per lo stalking: Messora e gli altri caporali dell'ufficio comunicazione M5S vietano ai parlamentari 5 stelle di farsi intervistare e invitare normalmente da certi programmi, ritenuti chissà perché off limits.

Forse Casaleggio teme che parlamentari validi come Fico, Paola Taverna o Di Maio diventino più popolari di lui?


ps: stupendo lo scherzo di Grillo, che ieri ha attaccato Napolitano con le stesse parole che Napolitano aveva usato 25 anni fa per attaccare Cossiga

lunedì 9 dicembre 2013

Incredibile: Ferrara pro Grillo

Giuliano Ferrara per "il Foglio", lunedì 9 dicembre 2013

L'ho soprannominato dottor Gribbels, quando se la prende con una giornalista e annuncia liste di proscrizione metaforiche non posso certo solidarizzare con lui. Aveva cominciato con Marianna Rizzini, del Foglio, che dà del suo movimento e delle sue bizzarrie un resoconto puntuale, divertente, equilibrato e sempre pieno di ironia sottile.
 
Dal palco patibolare di San Giovanni in Roma l'aveva additata alla pubblica esecrazione dei fans e in sostanza espulsa, del che ce ne siamo come sempre allegramente fottuti, perché non sta bene impancarsi a vittime, chiedere eccessive solidarietà, che per fortuna - oltre tutto - non sarebbero mai venute per un giornale di sprezzatura e contrarian come noi siamo.

Ma dopo l'attacco di Gribbels a Maria Novella Oppo, dell'Unità, si è scatenato il finimondo costituzionale, non c'è Presidente, Ordine professionale, collettivo pensoso di coglioni che non sia sceso in lotta contro l'indicibile Indice del comico genovese. Va bene. Tanta solidarietà a Maria Novella, che è pure amica di alcuni dei nostri giornalisti di sinistra.

Ma non me ne vorrà, l'illustre vittima della polizia politica di Gribbels, se le ricordo che è parecchio teppistella, che i suoi corsivi sono da sempre, specie in materia televisiva che è la sua microspecialità, la biada eccitante del peggior pregiudizio italiano, che fa un po' senso la sua propensione a dare dello stupido e del venduto al colto e all'inclita, basta che siano suoi nemici politici e di camarilla, e magari del giro di Berlusconi.
 
La Oppo ha sempre avuto un penchant ricambiato per il compianto re della serie B, Enzo Biagi. Lo sbandierava, e se ne lasciava coccolare. Lo sbandieramento era per il simbolo della giustizia, della sinistra, dei valori antichi e saldi del socialismo umanitario, e non sopportava distinzioni, spirito critico: era una cuginanza combriccolare più che un'amicizia.
 
Quella coterie milanese ha sempre avuto un tratto violento, una verbosità maramalda applicata a chiunque non fosse dello stretto giro di establishment dell'editoria bene e della professione che dipende (ahi quanto dipende!) ma si dice indipendente, che parteggia ma si dice vestale dell'opinione pubblica in una perfetta oggettività, che fa fazione e quattrini ma all'insegna di una presunta sobrietà che sarebbe sconosciuta ad altri che a loro. Essendo parecchio invecchiato, riconosco che un corsivetto su diciannove di quelli della Oppo si faceva leggere oltre la linea dell'insulto.
 
Ma aggiungo che non è valsa la pena di fare tutte quelle marachelle, di fiancheggiare il volgare giornalese alla Biagi con lo spirito di una indomita rivoluzionaria della penna, per poi finire tra i soprammobili del vittimismo nazionale.
 
Si può cercare di essere all'altezza della bassezza dei tempi (come dice il senatore Compagna), in amabile associazione con Aspesi&Biagi, e sputare veleno su chi era inviso a quelle divinità, va bene, niente di particolarmente deplorevole, la solita cultura facinorosa spacciata per autostima sociale del bel mondo della Madunina, ma quando un blog ti attacca non devi recitare la parte del simbolo della libertà di stampa, non diventi la Politkovskaia da tinello professionale per una critica un po' sapida di un tizio che manda affanculo la gente come si sveglia al mattino.
 
Via, un po' di stile, se non altro perché vieni dalla tradizione comunista, Maria Novella. Di' a tutte quelle confortanti e confortevoli autorità che con Gribbels sai sbrigartela da sola, e non ti rompano le scatole con le loro affettuosità autorevoli e pelose. Hai scritto di "un tale Pio Pompa che già nel nome riflette il miscuglio tra anima e porco", nel 1997. Sei una porcellina maramalda, mia cara, non una vittima e una testimone di libertà.

Insulti ai giornalisti: Michele Serra


LA MISERIA DELLA GOGNA E I DIRITTI DELLE IDEE
Michele Serra per "la Repubblica", lunedì 9 dicembre 2013
Per avere giudicato molto duramente la gogna della "giornalista nemica" Maria Novella Oppo sul blog di Grillo, anche il nostro Francesco Merlo è finito, per secondo, in quella lista di proscrizione. Chissà se, giudicando a mia volta molto duramente la messa all'indice di Francesco Merlo, la terza nomination toccherà a me, e la quarta a chi proverà a difendermi dal diluvio di atroci insulti e minacce che le bande che infestano il web dedicano ai giornalisti messi all'indice dal leader del Movimento Cinque Stelle.
Rispetto a Oppo, il vantaggio di Merlo ed eventualmente mio è che dovrebbe esserci risparmiata la dose, veramente impressionante, di odio antifemminile che ha reso ancora più disgustoso il linciaggio della corsivista dell'Unità. Sono quasi tutti maschi, i bastonatori internauti, e anche questo è un indizio di quanto poco, ahimè, il mezzo abbia cambiato il messaggio.
Se Dario Fo leggesse i toni e le intenzioni di quei messaggi, ci troverebbe l'eco dell'odio fascista che colpì Franca, ovviamente senza piegarla, ovviamente rafforzandone il coraggio e la libertà.
Chissà se e quando qualcuna delle persone di buon senso che circondano Grillo gli farà capire che un leader politico, per sua dignità e per sua responsabilità, non è nelle condizioni di indicare ai suoi seguaci, con nome e cognome, una/un giornalista da odiare, senza finire inevitabilmente nel novero dei capataz arroganti e senza manomettere seriamente la propria autorevolezza politica.
Noi giornalisti scriviamo tante cose, alcune utili altre no, alcune giuste altre no, ma da almeno un paio di secoli la democrazia garantisce alle nostre parole il diritto di esistere, salvo incorrere in reati (per esempio la diffamazione) verificabili davanti a un tribunale.
I vaffanculo di Grillo (anche quelli ad personam) non gli sono stati imputati per via giudiziaria perché si riconosceva all'attore politico una certa licenza dialettica. Per quale forma di follia, dunque, Grillo (proprio lui!) si permette di negare ai giornalisti la libertà di criticarlo anche con durezza, e per giunta senza ricorrere alle insolenze che lui usa a piene mani?
Qualcuno spieghi a Beppe Grillo che è il leader di un movimento politico di prima grandezza. E che questo potere - enorme - non gli consente più di prendere per il collo, anche solo metaforicamente, le persone fisiche che, con pieno diritto, e non avendo altra difesa che il proprio lavoro, hanno scelto di non essere a sua disposizione.

Tutti gli insulti alla Oppo

Ecco un video con tutti gli insulti dei 5 stelle (scritti sul blog di Grillo) a Maria Novella Oppo, giornalista dell'Unità autrice di un commento contro il M5s

sabato 7 dicembre 2013

Merlo contro Grillo

LA FATWA DI GRILLO CONTRO I GIORNALISTI “NEMICI” FA SCATTARE L’ALLARME DEL MERLO MORALIZZATORE: “QUESTO GRILLO STA DIVENTANO TROPPO MINACCIOSO. ANCHE IO SONO UN GIORNALISTA E NON MI FA PIACERE CHE GIÀ DOMANI POTREI ESSERE ESPOSTO ALLA GOGNA”
“Il suo incitamento all’offesa persecutoria contro i cronisti e gli opinionisti è ormai una forma di teppismo politico.Il furore sta trasformando gli ex ingenuotti del Movimento 5 stelle in funzionari fanatici. Sembrano gli arditi con il web tra i denti al posto del pugnale. Gli ultimi elenchi di giornalisti li hanno fatti brigatisti, camorristi e mafiosi”…
 
Francesco Merlo per "la Repubblica"

7 dicembre 2013

Ha lanciato la prima fatwa contro una giornalista e adesso tutti devono insultare, sbertucciare e mo-lestare la signora Maria Novella Oppo che scrive (bene) sull'Unità. E domani è già previsto un altro wanted, un ricercato nuovo. Più precisamente sul blog di Beppe Grillo ci sarà un giornalista al giorno da lapidare. «Segnalateli » è infatti l'ordine testuale del leader populista: sfogatevi, colpiteli, prendeteli.

Nel blog, con la sua solita prosa malata, scrive «sputtaniamoli » per spiegare il senso della rubrica che ha appena inaugurato e che ha intitolato "Giornalista del giorno".

Ebbene, nel recente passato uno così caricaturale ed esagerato lo avremmo liquidato con un coro di "scemo scemo" magari davanti a casa sua, sulla spiaggia di Bibbona.

Insomma, non lo avremmo preso troppo sul serio. Era stato del resto Dario Fo a spiegarci che le sue sparate, il suo parlare per eccessi, per iperboli, per sberleffi e anche per insulti fegatosi e per minacce era in fondo teatro, opera buffa, metafora, linguaggio smodato e maleducato che qualche volta può anche essere necessario.

Per la verità Dario Fo non era convincente, ma in molti pensavamo che gli spasmi biliosi e la patologia ossessiva di Grillo non avrebbero certo contagiato un Paese sano, una democrazia matura e neppure il web che il leader del malumore cerca sempre più di ridurre a un cortile dove, come le lavandaie di una volta, i suoi garzoni sbraitano contro tutti; o come i muri delle latrine dove il primo che arriva scrive le proprie porcherie.

Ma oggi questo strampalato Grillo, che farnetica di assalti e di vendette, sta diventando troppo minaccioso e il suo incitamento all'offesa persecutoria contro i cronisti e gli opinionisti è ormai una forma di teppismo politico. E infatti non è insorto solo Enrico Letta lanciando in un tweet «la solidarietà per Maria Novella Oppo schedata e lapidata verbalmente da Grillo».

Questa volta persino il nonno nobile del grillismo, lo stesso Dario Fo, intervistato dal quotidiano Europa si è dissociato: «Non mi piace. Non accetto un linguaggio di questo genere». Dario Fo dice pure, attenuando il suo disagio, di conoscere un Grillo «più sottile e ironico» e conclude che forse «non l'ha scritto lui, ma qualcuno che lavora nella comunicazione».

E mi ricorda «la colpa è del portavoce», vale a dire il ritornello della più trita tradizione del peggiore politichese. In realtà è lo stesso spurgo che, il mese scorso, spinse la senatrice Paola Taverna a rassicurare i propri adepti con una frase agghiacciante su Berlusconi: «Un giorno di questo gli sputo». E le scuse successive suonarono come un'aggravante. Si giustificò infatti dicendo: fuori parlo così. Significa che c'è qualcosa di peggio dell'orrore che Grillo ha mandato dentro il palazzo della politica; significa che c'è un fuori dove si deposita altro orrore.

Come si vede i tempi sono più propizi alla violenza che alla ragione e il furore sta trasformando gli ex ingenuotti del Movimento 5 stelle in funzionari fanatici. Sembrano gli arditi con il web tra i denti al posto del pugnale. Il loro codice di rapidità e di fuoco diventa sempre più eversivo e , se ci fate caso, orecchia in modo sorprendente il vocabolario marinettiano, quello della guerra in Etiopia. Vediamolo. «La Corte ha i tempi di un gasteropode ». «I giornalisti sono paraculai dei giornalai di regime».

È tutto un «pirotrone». Esplode «lo sterco secco». Zirla «il cuculus canorus». Si propaga «la pippite » tra «i catafalchi». «Il ballista d'acciaio» metallizza «le scimmie instancabili». E intanto turbinano i «vaffa» e i «siete ominicchi e prendinculo». E sono «illegittimi » il Parlamento, il governo, il Presidente della Repubblica, le elezioni, la Corte Costituzionale, le istituzioni e, prima di tutti, i cronisti che non criticano ma «diffamano», non raccontano ma «servono i partiti» e presto saranno licenziati e dovranno trovarsi un lavoro: «Tutto finirà in una combustione politica spontanea».

Ora ditemi se questa non è la digitalizzazione grottesca e caricaturale del futurismo di guerra, ma senza la cultura che pur sempre gli stava dietro: Boccioni, Carra, Severini, Russolo, Slataper e Palazzeschi. Pensate adesso ai balbettii, anzi ai "borborigmi" di Casaleggio, del professore Paolo Becchi, di Vito Crimi e della Lombardi.

Certo anche io sono un giornalista e non mi fa piacere che già domani potrei essere esposto (ancora una volta) alla gogna. Ma è giusto ricordare che gli ultimi elenchi di giornalisti, le ultime schedature di «obiettivi sensibili», le hanno fatte in Italia quelli che poi, dopo qualche anno, aspettarono in via Solferino Walter Tobagi.

E, a ritroso, i camorristi che inseguirono la Mehari di Giancarlo Siani e i mafiosi che pedinarono Pippo Fava sino alla sede del teatro stabile di Catania. È vero che Grillo non è ancora terrorista né camorrista né mafioso. Sempre più però il suo codice di violenza, i suoi roghi, le sue scomuniche, i suoi avvertimenti, i suoi manganelli foscamente rimandano alla "sgrammatica" dei terroristi, dei camorristi, dei mafiosi.

venerdì 6 dicembre 2013

Uomo qualunque in Parlamento: pro e contro

Vantaggi e svantaggi dell’uomo qualunque in Parlamento

di Andrea Danielli, 3 dicembre 2013, dal blog Rivoluzione aperta 
Uno dei più grandi meriti riconosciuti al M5S è di aver portato in Parlamento persone nuove alla politica. Le ragioni a sostegno sono diverse: la mancanza di esperienza politica conserva un approccio disinteressato alle questioni, non ci sono precedenti legami con lobby e potenti di turno che hanno finanziato la campagna elettorale, i neo eletti non sono abituati ai malcostumi romani e possono vigilarvi. Non posso che condividere buona parte delle ragioni succitate: chi fa politica da una vita tende a investire più tempo nel coltivare le proprie relazioni personali che non nel provare a risolvere i problemi.
20 l'uomo qualunque
L’idea del Movimento di inviare dei “portavoce” è interessante perché, facendo passare il principio per cui tutti sono sostituibili,taglia alla radice il bisogno di creare delle clientele, relazioni dirette basate sul reciproco scambio di interessi tra eletto ed elettori.
Il PD, al contrario, si fonda su una visione più tradizionale della politica; oggi gli aspiranti segretari si scontrano con i potentati locali nel tentativo di cambiare la classe dirigente democratica: ci sono persone che controllano centinaia di voti perché, con gli anni, hanno potuto costruire una fitta rete di rapporti reciproci. Si sono dedicate unicamente a questo nella vita, e di certo chi cerca di fare politica portando avanti idee nuove in maniera onesta si scontra con la totale mancanza di partecipazione di chi non si iscrive nei partiti, vota a malincuore alle primarie, salvo poi lamentarsi in maniera accesa del Paese.
A monte della scelta del M5S c’è l’idea che la politica sia una cosa semplice, che oggi, nell’epoca dell’informazione a portata di clic, chiunque possa farsi una propria opinione su questioni di rilevanza nazionale.
Questa premessa, che regge l’intero discorso, è però tragicamente sbagliata. Le complessità gestionali di un paese di 60 milioni di abitanti, strutturato secondo diversi livelli gerarchici, sono enormi. Equilibrare diritto ed economia, libertà individuali e bene comune, prosperità e rispetto dell’ambiente è impresa ardua per chiunque ci abbia provato. Si aggiunga a ciò il fatto che la selezione dell’informazione, in un mare di siti, è molto difficile per il novizio: non si può basare su criteri quantitativi (il sito più letto è magari il più divertente, irriverente, misterioso), né sui motori di ricerca (ancora semanticamente poco intelligenti).
Una volta che condividiamo la critica alla politica semplice, dobbiamo trarne delle conseguenze: quanto è pericoloso mandare incompetenti a legiferare?
In effetti, una prima linea difensiva potrebbe essere condivisibile: perché dovrei temere danni possibili (non ancora avvenuti) di fronte a danni presenti manifestamente tremendi? Insomma, lo vediamo tutti a cosa ha portato la politica tradizionale, e abbiamo paura di una nuova politica? In fondo, impareranno anche i “grillini” a promulgare leggi utili, basta dar loro tempo. Un momento,ma se i portavoce cambiano (per il limite dei due mandati), come si fa a creare una classe dirigente?
Fermi tutti. Eleggiamo persone “qualunque”, diamo loro due mandati e poi li sostituiamo. Allora, immaginate di essere eletti al Comune di Milano, non proprio una realtà comprensibile; ci mettete un po’ per capire come funzionano le dinamiche, poi siete costretti a scegliere se investire la vostra fama sulle Nazionali oppure far fruttare le vostre competenze nel locale. Se puntate sul Parlamento, per prestigio o altre mille valide ragioni, mesi per capire come funziona l’iter delle leggi, poi anni per specializzarvi in un ambito, poi siete a casa, forse.
Ho mal interpretato forse il verbo di Beppe Grillo? Certo! Ho sottovalutato l’uso del termine “portavoce”: le decisioni sono prese attraverso una piattaforma di democrazia liquida da tutti gli iscritti al M5S. Qui sta la parte dolente. Pensare che la folla sia più intelligente dei rappresentanti ha senso solo su uno o due temi la cui conoscenza sia sufficientemente disponibile a tutta la popolazione italiana. Avrebbe senso se il CT della Nazionale di calcio si rivolgesse ai 60 milioni di allenatori per condividere alcuni dubbi sulla formazione. Non ha senso che la Banca d’Italia chieda a 60 milioni di persone di esprimersi sulle politiche anti riciclaggio: ci saranno nel paese qualche centinaio di esperti, a esagerare. Stesso discorso su energia da fonti rinnovabili, politiche di difesa e proiezione strategica, grandi opere.
A meno che l’elettore non sia bombardato costantemente da alcune informazioni che vogliamo fargli passare, di modo da instillargli idee utili per qualcuno (ne ho già parlato qui). Il meccanismo, purtroppo, può essere ben più subdolo rispetto al controllo e selezione delle informazioni sull’unico blog certificato: la piattaforma di democrazia diretta può essere infiltrata da professionisti della persuasione a disposizione dei potenti di turno.
 Poniamo che si dibatta una legge sul falso in bilancio: chi può dire di averne competenze? Pochi, allora ci si affida al confronto pubblico, dove diventa determinante il ruolo di pochi influencer. Da un lato c’è un elegante sig. X, che spiega chiaramente la sua proposta, dall’altro ci sono alcuni volontari che di giorno fanno i magistrati, e quindi partecipano poco, parlano da tecnici, si arrabbiano con gli incompetenti. Voi, ignoranti, chi seguireste? Quello più gentile, sempre presente per rispondere ai vostri dubbi, che vi fa complimenti sulle osservazioni “brillanti”, o quello un po’ ruvido, incomprensibile, poco presente? Poiché si combattono poteri ricchi di risorse, non dubito del fatto che X possa pure disporre di follower pagati un tanto al chilo, che sposterebbero le valutazioni della maggioranza usando l’efficacia del conformismo. 
Se la democrazia viene portata on-line, è difficile avere informazioni sugli influencer: potrebbero comunicare dati incompleti o, nel caso i dati provenissero da anagrafi pubbliche, potrebbero essere teleguidati. Se la compravendita di parlamentari da parte delle lobby è un fenomeno grave, in una democrazia rappresentativa esistono molti anticorpi: i mass media, la magistratura, le autorità garanti.
Verso i primi Grillo ha già lanciato la sua campagna, con l’abolizione dell’ordine dei giornalisti (e lo spostamento dell’informazione su Internet). Verso i terzi, promette la loro abolizione nel programma ufficiale. Va infine considerata la forza dirompente di una legge nominalmente decisa dal popolo: chi si oppone sarà garantito nella sua libertà di espressione? O verrà giudicato “nemico del popolo”?
Oggi i parlamentari sono persone pubbliche, vigilate da mass media e progetti volontari come Open Parlamento; dovremmo poter votare  direttamente quelli onesti se riattivassimo le preferenze, ed eviteremmo le clientele se tutti ci informassimo e partecipassimo. Possiamo pretendere dai nostri Partiti organizzati che diano vita a scuole di formazione aperte a tutti, on-line, per elevare il livello dei nostri rappresentanti.
Altrimenti, ci rimane il sogno di una rischiosa democrazia diretta, facilmente infiltrabile da chi ha risorse e capacità. Io non ho nulla verso il M5S, anzi, mi permetto di dar loro qualche consiglio, perché conosco diverse persone che ne fanno parte e lottano per i miei stessi obiettivi:
1)   evitate di prendervela con chi sforna classe dirigente: perché ne avreste bisogno anche voi. Inutile screditare le Istituzioni del Paese e tentare di eliminare le Authority, per ritrovarsi senza le capacità di combattere chi può permettersi di pagare le consulenze per aggirare la legge;
2)   rinunciate ai due mandati ma adottate una politica di trasparenza totale verso i vostri politici (sulla trasparenza, in parte, lo state facendo);
3)   aprite delle scuole di formazione per i vostri parlamentari invitando come docenti persone che provengono dalle Istituzioni (di cui al punto 1) e non complottisti di varia natura;
4)   rinunciate a piacere a tutti: selezionate dei temi da portare avanti, tagliate quelli meno importanti, trovate degli esperti in grado di svilupparli degnamente.
5)   Solo su pochi temi selezionati, discutete, insieme agli esperti che avete selezionato, sul portale: senza dare pareri vincolanti, ma cercando di preparare chi dovrà contribuire in Parlamento a elaborare utili proposte di legge.
Se seguirete queste ricette, riuscirete a soddisfare una legittima volontà di cambiamento e a convogliarla in azioni efficaci; insomma, avrete iniziato a fare politica.

mercoledì 4 dicembre 2013

Grillino incriminato. Si dimette?


in teoria gli eletti m5s dovrebbero dimettersi se rinviati a giudizio. 
Nel concreto, mi pare che abbiano ragione entrambi: Favia a dire che anche Defranceschi era d'accordo, Defranceschi a dire che in tv ci andava Favia
da Il Fatto, 3 dicembre 2013
La notizia del prossimo processo per le interviste a pagamento mette in fibrillazione gli ex colleghi del gruppo del Movimento 5 stelle in Regione Emilia Romagna, Andrea Defranceschi e Giovanni Favia. Il primo, rimasto vicino a Beppe Grillo, è stato infatti chiamato dalla procura della Corte dei conti a rispondere di 7mila euro pagati per alcune ‘comparsate’ in televisione per le quali autorizzò l’esborso di soldi regionali. 
Ora però Defranceschi allontana ogni responsabilità da sé, rimandandola a chi, come Giovanni Favia, era andato concretamente a farsi intervistare a pagamento: “Io non ci sono mai andato, perché non ho mai pensato che fossero utili”, ha spiegato. Ma la responsabilità vera, per il consigliere M5s, sta a monte: “Vedremo come andrà il processo, ma se c’è da risarcire, allora deve essere l’Ufficio di presidenza a farlo, perché ha scritto e approvato il regolamento sull’ammissibilità di quelle spese”.
Il suo ex collega di gruppo gli risponde a stretto giro attraverso un comunicato, che in parte sembra contraddire quanto spiegato dal suo ex collega: “Con Defranceschi su questo tema non c’è e non c’è stata nessuna frizione. Le decisioni del gruppo assembleare, nonostante lui ne avesse la responsabilità e la titolarità, sono sempre nate da un sano e proficuo confronto tra noi due”. 
Poi Favia ha ricordato: “Entrambi sul tema dell’utilizzo della televisione abbiamo avuto diversi dubbi e timori, tant’è che abbiamo deciso di ricorrervi solo nell’ultimo anno. Ma eravamo d’accordo, seppur con accenti diversi, che quello della tv fosse uno strumento più efficace, rispetto a internet, per arrivare direttamente ai cittadini. All’epoca anche all’interno del Movimento la discussione era molta accesa, ma alla fine le consultazioni erano tutte a favore dello sfruttamento del mezzo televisivo”. 

lunedì 2 dicembre 2013

Genova, 2 dicembre: Corsera

SOTTO IL PALCO I PARLAMENTARI RACCOLGONO SFOGHI: LO DIREMO A BEPPE. IL CORO «A CASA» COME NELLE PRIME PONTIDA

Tutti i no in piazza, lo scontento si raduna
Dai comitati «anti» ai singoli cittadini E il leader ora vuole parlare alle imprese

di Marco Imarisio

Corriere della Sera, 2 dicembre 2013

GENOVA. «Ne voglio due». All'ingresso della piazza c'è una bancarella che vende solo le maschere in plastica di V per vendetta. Il pensionato Emilio Borghini procede al doppio acquisto. «È qui per il possibile video-messaggio di Julian Assange?». «No», è la risposta. «Le ho viste in un film su Canale 5 e ho deciso di regalarle ai miei nipotini». 

Al gran bazar dello scontento ci sono tutti i «no» possibili e immaginabili, dalla Gronda al Tav, al Terzo valico. L'Associazione nazionale pubblici esercizi vuole dire basta ai vantaggi di banche, assicurazioni e multinazionali, gli ecologisti di Savona sono contro la centrale a carbone, un gruppo di bancari arrivato da Imola espone invece uno striscione contro la Sovranità monetaria. Il gassificatore di Ponente, gli autoferrotranvieri di Genova, la causa collettiva per il rimborso delle bollette dell'acqua, la pianificazione territoriale che manca in Veneto. 

I parlamentari del Movimento Cinque stelle sono sotto i loro gazebo, lontano e dalla parte opposta dal palco. «A illustrare le attività e i risultati conseguiti in Parlamento», c'è scritto sul volantino che assegna loro un ruolo. In realtà fanno altro. Ascoltano, raccolgono sfoghi individuali, la gente si mette in coda per raccontare torti subiti, veri o presunti che siano, non importa. Paola Taverna, attuale capogruppo al Senato, e gli altri, prendono appunti a getto continuo, fanno sempre e comunque grandi cenni di assenso. «Hai ragione, lo diremo a Beppe». Avanti un altro. 

I numeri di chi c'era dicono poco. Quel che conta è il modo. Una coppia di Brescia incrocia Vito Crimi e gli chiede di posare per una foto con i loro bambini in passeggino. La signora di Sassello si fa largo per donare i suoi biscotti fatti in casa ad Alessandro Di Battista. Non sono note di colore, almeno non dovrebbero, ma piuttosto il segno di un senso di appartenenza ormai forte. Il Movimento Cinque Stelle ha fatto fuori la concorrenza, ormai siamo in regime di monopolio della protesta. La catalizzazione del mal di pancia rimane la principale caratteristica della creatura di Casaleggio e Grillo. 

«Tutti a casa» grida dal palco il presentatore, invitando il pubblico a ripetere in coro, sempre più forte. «Per farlo sentire anche a quelli di Roma». A chiudere degli occhi e lasciarsi andare ai ricordi, vengono in mente le prime Pontida della Lega Nord, lo stesso slogan, lo stesso crescendo, dedicato ai politici della Capitale, per definizione ladrona. 

«Vale la pena di essere qui anche perché potresti incontrare l'uomo e la donna della tua vita» suggeriscono dal palco. L'invito alla tenerezza non viene raccolto, è troppo forte la prima pulsione, l'istinto primario che prevale in piazza della Vittoria è quello della protesta, del tutti a casa. Il resto non interessa, viene comunque dopo la rabbia. Non c'è l'illusione o la speranza in un altro mondo possibile, come quello dei no global. Il pensiero unico è sempre quello. 

Quando Grillo stempera il suo consueto furore da comizio in un lirismo da utopia, immaginando una società libera anche da un lavoro «che è schiavitù e deve essere ripensato», viene riportato a più miti consigli proprio dalla sua gente. «Tutti a casa, tutti a casa» è il grido che sale dalla piazza. Sempre più forte. È costretto a interrompersi, come un cantante che davanti a una platea adorante attacca una canzone sgradita al pubblico e deve subito tornare a strofe più familiari e apprezzate. «Dice sempre le stesse cose» sospira Sara, universitaria genovese. «Però le dice bene» aggiunge. 

È come se il canone del V-Day dovesse rimanere immutato, l'evoluzione della specie a Cinque Stelle non è ancora compiuta. La parte macro-economica, chiamiamola così, del discorso del leader, scivola via nella ghiacciaia di piazza Vittoria, quasi indifferente. «Ma insomma, dove vuole arrivare?» chiede il pensionato Emilio. I rifiuti zero, la decrescita, il ritorno alla natura, scorrono come acqua sulla roccia. Quando attacca il presidente della Repubblica, allora è tutto più chiaro, più facile. Bordate di fischi nei suoi confronti, ovazione ad ogni anatema contro politici e banchieri. 

Lo schema è fisso, ripetuto all'infinito. Ci saranno sicuramente eccezioni, ma nella sua veduta d'insieme, il pubblico di questa terza adunata nazionale vuole quello, il collante di una platea che mischia fasce di età ben diverse tra loro era e resta un gigantesco «Vaffa,», come da ragione sociale dell'evento. Grillo capisce subito l'antifona, il fiatone avanza ma l'istinto rimane, animale e immediato. Torna sui sentieri familiari della politica-zero, lascia capire qual è il suo obiettivo di breve termine in vista delle elezioni europee. 

Se il M5S è diventato un contenitore della protesta, deve essere riempito fino in fondo. Nella consueta scomposizione di un comizio che ripropone sempre lo stesso canovaccio, con frasi talvolta identiche, oggi la riproposta dei dazi doganali in aiuto della imprese italiane vessate dalla Cina cattiva e dall'Unione europea «che ci strangola», conferma la voglia, già dichiarata, di annettersi la protesta delle piccole e medie imprese, di commercianti e artigiani, il ceto medio in via di estinzione che M5S vuole salvare, e conquistare. 

«Tutti a casa, tutti a casa». Il coro lo accompagna mentre scende dal palco. La seconda parte è dedicata alla prospettiva di lungo periodo, con la costruzione di un modello di consumi e di società alternativo. Quando cominciano a parlare ecologisti, architetti, criminologi norvegesi, la piazza si svuota per metà. Il «Vaffa» c'è tutto. «Oltre» non si intravede ancora il mondo di domani, ma soltanto la rabbia di oggi. 
Marco Imarisio

Genova, 2 dicembre: Curzio Maltese

Grillo show, tra attacchi al Colle e piani economici ecuadoregni

di Curzio Maltese

la Repubblica, 2 dicembre 2013

Nella bella piazza di Genova dove si esibì il grande William Cody, in arte Buffalo Bill, va in scena un secolo più tardi il circo indiano della Casaleggio Associati, in arte Beppe Grillo. Allora come oggi, «il più grande spettacolo del mondo». 
È davvero uno show unico nella storia questo Movimento 5 Stelle fondato da un comico e diventato dal nulla il primo o secondo partito di una grande nazione e per questo continua a richiamare inviati da ogni angolo del pianeta. Popolo, un po' meno. Dei centomila attesi per il terzo V-Day dell'era grillina ne sono arrivati un terzo, soprattutto da fuori. I genovesi, che conoscono bene il concittadino, sono rimasti a casa. Grillo ci scherza sopra («Vedo un tre metri quadri vuoti, il Tg1 ci farà sopra un servizio»), ma la delusione dei militanti è tanta. 
Si va comunque in scena, da professionisti, secondo lo schema solito. Gianroberto Casaleggio è arrivato in largo anticipo, fra un fluire di chiome grigie al vento di tramontana, e si è piazzato nel backstage da bravo impresario. 

Alle due è arrivata sul palco la star, Grillo. Un Beppe in gran forma, dimagrito, ringiovanito, in palla e tornato spiritoso. E' già pronto per la campagna elettorale europea e magari anche italiana, all'insegna dell'antieuropeismo e della nuova parola d'ordine: oltre. Al benaltrismo classico della vecchia politica italiana («i problemi sono ben altri»), il grillismo contrappone da oggi la nuova frontiera: il benoltrismo. Un programma economico al cui confronto i libri della Rowlings scarseggiano di formule magiche. Trattandosi di uno spettacolo contano più le emozioni che le ragioni, il «numero» rispetto ai numeri. 

Nel benoltrismo di emozioni e «numeri» ce n'è in abbondanza e ognuno può scegliere i più divertenti. A parte il referendum sull' euro, altri due o tre, in particolare, mettono allegria: la «rinegoziazione del debito pubblico sul modello ecuadoregno», la nazionalizzazione delle banche e l'inserimento di Internet gratuito nella Costituzione. 
Cominciamo dall'Ecuador. La simpatica nazione andina ha rinegoziato nel 2008 la bellezza di 3,5 miliardi del debito pubblico, circa l' 8 per cento del Pil, senza grandi scossoni. L'Italia dovrebbe rinegoziare oltre 2000 miliardi, 133 per cento di un Pil per giunta in calo, con prevedibile catastrofe planetaria, fallimento a catena di sistemi bancari europei e di diversi fondi pensione stranieri, crollo dell'euro. Perfino chi scrive Pino Chet staccato può valutare le differenze. 

Per nazionalizzare il sistema bancario, che tutti odiamo, bastano invece appena 400 miliardi, una cifra che un governo italiano può facilmente raccogliere nel giro di una ventina d' anni, a patto di rimettere da domani l'Imu e portare il prezzo della benzina a 10 euro al litro. Internet libera nella Costituzione non richiede commenti, è semplicemente sublime. Del resto, secondo il profeta Casaleggio, fra sei anni una guerra termonucleare spazzerà sei miliardi di persone dalla faccia della terra, e quindi non è il caso di perder tempo a studiare soluzioni serie. «Oltre» saremo tutti morti. 

Grillo dal palco è comunque una forza della natura, il più grande animale da palcoscenico mai visto. Se la prende con destra, sinistra, centro, poteri forti e deboli, banche e sindacati, con lo stesso popolo italiano che è troppo ignorante, tanto da figurare agli ultimi posti delle classifiche di alfabetizzazione «dell'Oxa», ripetuto due o tre volte. Lui stesso però potrebbe cominciare evitando di confondere l'Ocse con la brava cantante Anna, compagna di tanti festival di Sanremo. Le sue promesse miracolose sono comunque più affascinanti delle vecchie balle della politica, che una volta erano nuove promesse, e scatenano applausi ogni mezzo minuto. La folla è sempre il soggetto più interessante negli happening grillini. 

Dietro al palco sono ammessi soltanto i giornalisti stranieri, che in realtà scrivono cose terribili, ma nessuno li legge. A un certo punto mi pare di scorgere il corrispondente di Le Monde, Philippe Ridet, al quale invidio una folgorante definizione: «Grillo è l'unico comico che mi fa paura». Così i giornalisti italiani sono costretti a stare fra la gente ed è un bel regalo. 

Non è la folla sterminata di Piazza San Giovanni a Roma, alla vigilia del voto, ma è sempre un buon campionario di facce oneste. Ragazzi ai quali la classe dirigente ha preparato un futuro da emarginati e non si capisce perché dovrebbe votarli ancora. Vecchi militanti della sinistra che la sinistra ha fatto di tutto per buttare fuori dalle sezioni, ora circoli. Cittadini della Val di Susa che hanno tutto il diritto di protestare contro la Tav, senza essere bollati come estremisti o terroristi. Una delegazione di aquilani, vittime della peggiore truffa della seconda repubblica. Italiani come tanti altri, che si alzano ogni giorno alle 7 per guadagnare al mese quanto una mezza calzetta di consigliere regionale si mangia in una festa a spese del contribuente. 

Saranno magari un po' sommari nel giudizio sull'informazione («Siete tutti a libro paga di Berlusconi e del Pd»), ma è difficile non provare simpatia, comprensione. In tanti fanno la fila al gazebo dei parlamentari, che in questi mesi, siamo onesti, non hanno soltanto discusso di scontrini e parenti da assumere. Un esempio è la sacrosanta battaglia contro lo scellerato acquisto di F35. Tutti quanti meriterebbero, come altri italiani, capi meno furbi. 

Così, mentre dal palco volano sogni colorati, come i palloni gialli che si perdono nel cielo azzurrissimo di Genova, ci si domanda dove finirà tutta questa passione o illusione. Alla fine Grillo lancia in alto il pallone più grosso, la «modesta proposta» che è in realtà il suo contratto con gli italiani in sette punti. L'ha scritta Casaleggio e lui la firma, col suo nome. E il suo nome era Buffalo Bill.

domenica 1 dicembre 2013

Analisi di Scanzi

Andrea Scanzi per Il Fatto quotidiano
1 dicembre 2013

È la prova del nove. Riuscirà il Movimento 5 Stelle, nonostante pioggia, nevischio e disillusione, a riempire (ancora) la piazza per il V Day 3 di Genova? Si scoprirà oggi, Piazza della Vittoria ore 14 terza adunanza di un percorso esploso a Bologna l'8 settembre 2007 e proseguito a Torino il 25 aprile 2008.

Casaleggio ispeziona il palco di Genova la sera prima del V-day 3

BALLARO' E L'ORGASMO MANCATO
Qualora riuscisse nell'impresa, Grillo confermerebbe la veridicità dei sondaggi, secondo i quali il peso elettorale resta vicino al 25%. Come a febbraio. Intanto, dopo nove mesi parlamentari, è lecito azzardare bilanci. L'apriscatole ha funzionato o il tonno è più vorace di prima? Il M5S ha inciso sulla politica o si è relegato al ruolo di eterno bastian contrario?
Antonio Di Pietro è nella sua casa di Montenero di Bisaccia. "Sto preparando una bella pastasciutta, non mi disturba affatto. Che voto darei ai 5 Stelle? Sette. Per il metodo: arrivare in Parlamento con tutti contro e da novizi è molto difficile, ci sono passato con l'Italia dei Valori. Nel merito: se non ci fossero loro, chi farebbe opposizione?"

Vittorio Feltri, che a febbraio aveva accostato l'operato di Grillo a un "orgasmo", è ora assai meno entusiasta. "Onestamente non mi sono accorto che i grillini esistono, al di là di un fatto: quando ci fu l'incontro tra Bersani e, dall'altra parte, Crimi e un'altra che non ricordo".
Roberta Lombardi, quella che "noi siamo le parti sociali, mi sembra di essere a Ballarò". 
"Ah sì, lei. Guardando quello streaming ho capito come sarebbero andate le cose. Grillo ha fatto una cosa straordinaria, ma ha trascurato la selezione del personale, che tramite la Rete è risultata debolissima. Sono tutti inconsistenti tranne uno, mi pare si chiami Nicola Morra. Dice cose che non condivido, ma è colto e preparato. Se il movimento fosse in mano a gente come lui ne sarei rassicurato e anzi felice. Invece sono molto freddo, proprio in relazione alla struttura del partito. Non so se miglioreranno o ci dovremo rassegnare a una Lega di serie C con un personale non all'altezza".

Proprio il senatore Morra racconta gli obiettivi del V Day 3: "Migliaia di cittadini si confronteranno su tematiche che apriranno un nuovo mondo e produrranno una rivoluzione anzitutto culturale. Vogliamo abbandonare l'Italia che è per costruire l'Italia che sarà". 
Come? 
"È tutto racchiuso nella parola ‘oltre'. Vogliamo essere più in là, più avanti nella costruzione di un mondo nuovo in cui gestire acqua, ciclo dei rifiuti, energie rinnovabili. Non più profezie, ma prassi che quotidianamente ci accompagnino. Adesso vogliamo fare, non più prospettare e dire".

DALL'ECUADOR A WIKILEAKS

Il tratto distintivo del terzo V Day pare essere questo: non (più) la protesta al centro di tutto, ma la proposta. Da qui la presenza di esperti internazionali su vari temi: la rinegoziazione del debito sul modello ecuadoregno, una nuova informazione che tragga spunto anche da WikiLeaks (in collegamento video ci sarà Julian Assange), riforma della giustizia, partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, bio-edilizia, bio-architettura, lotta alla cementificazione selvaggia.

Il M5S vuole dimostrare di essere di governo, oltre che di lotta. Morra, professore di filosofia che a Cosenza portava gli studenti a vedere i concerti degli U2 per insegnargli il valore della collettività, specifica: "Noi portavoce non saremo sul palco ma in un grande gazebo, a disposizione dei cittadini, per rispondere alle domande e mostrargli tutta la nostra attività parlamentare. La disinformazione di larga parte del sistema mediatico ha alimentato critiche ingiuste".

Enrico Mentana, accusato di filo-grillismo da Eugenio Scalfari, riassume questi nove mesi: "Il M5S gioca in trasferta, le vecchie volpi sono molto più esperte e il noviziato si paga. Passare dalla piazza e dal web al Parlamento non è facile. In più c'è stato un reclutamento sbagliato. Devono adattarsi al campo da gioco e imparare le regole.
L'incoscienza totale è stata un valore aggiunto a febbraio, ma adesso non vale più. Di errori ne hanno fatti. Il pilota esordiente, quando vede il primo fuoco e l'incidente lo segna, è costretto a maturare: a loro deve accadere la stessa cosa. Mantengono una grande forza anche grazie agli errori degli altri. Le promesse però non bastano più. E alle prossime elezioni non saranno indulgenti. I 5 Stelle stanno imparando, ma non abbastanza".

L'EURO E I PERMALOSI
Più conciliante Gianluigi Paragone, accusato di antipolitica dai vertici Rai (infatti adesso è a La7). Claudio Messora, oggi responsabile comunicazione M5S al Senato, era presenza fissa a L'ultima parola su Rai2. "I 5 Stelle hanno portato molto entusiasmo e costretto gli altri a smarcarsi. Hanno rotto il gioco a centrocampo della casta. Nel ruolo di oppositori sono molto bravi. Li attendo al varco su un tema che mi aveva colpito durante la campagna elettorale: la critica all'Europa e all'euro".
Vorrebbe un M5S vicino alle tesi di Barnard? 
"Lui porta in Italia la scuola di Mosley, da cui Grillo è distante. Vorrei però almeno il referendum sull'euro e un'attenzione maggiore ai poteri forti europei che dominano l'Italia. Alcuni deputati come Sibilia si scagliano spesso contro Bilderberg, ma è un'attenzione altalenante. I 5 Stelle sono poi molto permalosi: gli si può concedere, il grande entusiasmo porta con sé una patina di presunzione, ma hanno già tutti contro e rischiano di complicarsi ulteriormente la vita".
Tra gli errori gravi di questi mesi: non avere fatto il famoso nome (Rodotà, Settis e Zagrebelsky) al secondo giro di consultazioni con Napolitano prima del governo Letta; le gaffes (microchip, sirene, "Pino Chet"); avere puntato all'esordio sui tafazziani Lombardi e Crimi; la gestione vagamente stalinista del dissenso (anche se poi tutti gli epurati hanno appoggiato Letta, dando ragione a chi li accusava di tradimento); un duropurismo integralista che li ha spesso costretti al ruolo di meri osservatori; alcuni post puerilmente incazzosi di Grillo (ma più che altro di Casaleggio).

Tra le mosse vincenti: rifiutare le finte avances di Bersani; puntare su Rodotà al Quirinale; la meritoria difesa della Costituzione; le battaglie contro Alfano, Cancellieri, F35; votare la mozione Giachetti (a differenza del Pd); non avere smarrito il contatto con la piazza; il voto palese e la conseguente decadenza di Berlusconi; alcuni interventi finalmente indignati e guerreggianti, per esempio Di Battista alla Camera e Taverna al Senato.

Concorda Carlo Freccero: "L'intervento della Taverna è stato straordinario. I 5 Stelle hanno alternato cose buone e cattive. Temo che Grillo li abbia spesso bloccati, non permettendo ai parlamentari di emergere e crescere appieno".

TETTI E LAMENTAZIONI
Oscar Giannino è convinto che il Movimento avrà successo anche alle Europee:
"Il voto di protesta non è un voto di pancia. È un voto di testa, molto pensato. Chi crede in loro, non voterà mai più gli altri. Preferisce il rischio ai soliti noti. Non si sa ancora cosa farebbero al governo, e questo per una forza politica tradizionale sarebbe molto negativo, ma il M5S non ha nulla di tradizionale. Per ora si nascondono, ma se vincessero le elezioni avrebbero già pronta una lista di governo tutt'altro che deludente".

Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi all'Università di Bologna e curatrice della voce Treccani dedicata al M5S, sintetizza: 
"Di errori ne hanno fatti tanti. Hanno dato l'impressione di essere bloccati in una sorta di eterna lamentazione. Sembrano saper dire solo: "Non, non, non". Il loro elettorato è eterogeneo e alcuni non hanno gradito. La sensazione è quella di una inazione dai tratti infantili, come la salita sul tetto: un gesto che va bene nei movimenti studenteschi ma non in Parlamento, non tanto perché viola il protocollo ma perché sancisce la propria impotenza.
Il V Day 3 è il desiderio di recuperare forze laddove sono nate: l'inseguimento di un'energia spontanea, con un pizzico di nostalgia. Il recupero della piazza è importante, ma repetita non iuvant. È cambiato tutto: ora loro sono dentro e non più fuori".