mercoledì 25 febbraio 2015

Il blog di Grillo crolla


Cinque stelle cadenti

POVERO GRILLO TRADITO DALLA SUA RETE

In soli sei mesi le visite al sito del comico si sono più che dimezzate: da cinque a due milioni. vacilla così, fra accuse e defezioni, quello che nel 2013 era diventato a sorpresa il secondo partito italiano

di Edoardo Montolli

Oggi, 18 febbraio 2014

Correva l’anno 2005. Gianroberto Casaleggio, futuro ideologo del Movimento 5 Stelle, si lanciava in una previsione: «Tra dieci anni i giornali non ci saranno più». E dava i numeri da guinness del sito di Beppe Grillo: dodicesimo del pianeta su 23 milioni di blog, ma fra giornali e tv si piazzava addirittura terzo.

Erano anni d’oro. A giugno 2006 beppegrillo.it finiva nella top ten mondiale, in una classifica guidata da Cnn, Bbc e Usa Today; primo in Italia e terzo assoluto per la capacità di mobilitare ben ventimila persone in tutte le città italiane.
 Nel 2009 la rivista americana Forbes lo definiva settima web star del mondo, basandosi sulle analisi di traffico di Google e della società Alexa.

Ranking di fascia c

Ma a dieci anni dalla profezia di Casaleggio i risultati si sono ribaltati: i giornali sono ancora aperti. E soprattutto, beffardo contrappasso, tutti i siti dei principali quotidiani italiani avrebbero superato per traffico quello del comico. 
A rivelarlo è la stessa società che fornì nel 2009 i dati a Forbes: la Alexa, gruppo Amazon, tra le principali aziende mondiali che si occupano di statistiche Internet, peraltro partner di Google nel determinare il ranking di un sito, ossia la popolarità. Per farlo non esprime giudizi, ma informazioni provenienti dalla navigazione degli utenti.

I risultati danno il sito in netto e costante calo nell’ultimo anno, tanto da piazzarlo adesso al 154° posto in Italia e addirittura al 7488° posto al mondo, a distanza siderale dalle vette toccate solo qualche anno fa. 

Si tratta di stime che cambiano in tempo reale, ma confermate  da altre importanti società mondiali del settore: viene dato in caduta libera anche su Traffic Estimate (dai 5 milioni di visite a giugno ai 2,2 di oggi).

Calcustat.com, altra azienda leader, gli assegna un ranking di fascia C, contro un A di Corriere della Sera e Repubblica e un B per il sito de La Stampa. Anche dando un margine ampio di errore, il sito di Beppe Grillo viene comunque di gran lunga in coda rispetto a tutti i grandi (e morituri) quotidiani italiani.
 
«Sono dati  attendibili», spiega Alessandro Amadori, amministratore delegato di Coesis Research, istituto di sondaggi demoscopici e ricerche di mercato, «e fanno parte del cosiddetto “buzz monitoring”, capace cioè di misurare in tempo reale il chiacchiericcio in Rete. Il movimento di Grillo è nato in Rete e lo definisco a “soffietto”: si gonfia quando l’elettore è frustrato e la politica inerte, ma si sgonfia appena questa riparte, com’è accaduto nell’ultima tornata elettorale con Renzi».
 
Non è questa l’unica sorpresa delle analisi di Alexa. Un secondo cavallo di battaglia di Grillo è sempre stata la presunta superiorità culturale del M5S: «Il più scemo ha due lauree», diceva dei suoi candidati. In realtà i grafici mostrano come all’aumentare del livello d’istruzione diminuisca l’attenzione al sito: la maggior parte degli utenti non ha il diploma. 

Basso livello culturale

«Ma questo è più ovvio», prosegue Amadori, «perché un partito che supera il 15 per cento rispecchia la realtà del Paese, che ha più o meno le stesse percentuali».
 
Il luogo da cui si collegano principalmente gli utenti è nella grande maggioranza dei casi la scuola, segno che il comico spopola fra i giovanissimi.
 
Un altro dato desta curiosità: immediatamente prima di andare sul sito di Grillo, gli utenti hanno navigato su Facebook, su tzetze.it (il sito di selezione di notizie della Casaleggio Associati), genericamente su Google o, ancora, sul sito de Il Fatto quotidiano, tra i più vicini al movimento.

La politica ha intaccato negativamente la popolarità del comico. Successe anche ad Antonio Di Pietro: durante Tangentopoli aveva il consenso dell’80% degli italiani, ma poi in politica non ha raccolto pari consenso, nonostante il blog gestito anch’esso da Casaleggio. Grillo è stato più pronto a cogliere l’attimo. Ma, una volta salito al Palazzo, i numeri sono calati vistosamente. 

Ben 36 parlamentari su 154 hanno lasciato il partito, accusando la società Casaleggio srl di gestione verticistica e segreta.

Lo scorso settembre, non pago della prima profezia, Casaleggio ha rilanciato: «La fine dei giornali è una delle cose più prevedibili del nostro futuro, gli unici che non lo sanno ancora sono i giornalisti. Si tratta solo di stabilire la data del decesso, tra i 5 e i 10 anni».


MA SU FACEBOOK RESISTONO

Ecco la classifica dei politici più popolari d'Italia, misurati dai "mi piace" sulle loro pagine Facebook personali. Ben quattro, nei primi 11, sono grillini: Grillo stesso, Di Battista, Di Maio e Taverna (dati 16.2.14) 

1) Beppe Grillo 1.766.000
2) Matteo Renzi 791.000
3) Silvio Berlusconi 700.000
4) Matteo Salvini 642.000
5) Nichi Vendola 565.000
6) A. Di Battista 433.000
7) Luigi De Magistris 339.000
8) Luigi Di Maio 332.000
9) Antonio Di Pietro 264.000
10) Michela Brambilla 257.000
11) Paola Taverna 230.000
12) Giorgia Meloni 226.000


 

venerdì 13 febbraio 2015

Il disastro degli ex grillini

Qualcuno si meraviglia che i 36 parlamentari ex grillini non siano riusciti neppure a formare gruppi autonomi in Camera e Senato, pur avendone i numeri, condannandosi così all'irrilevanza. 
Si sono divisi perfino nell'elezione del presidente: sei per Mattarella, 18 per Rodotà, sparsi gli altri.  

Il motivo è semplice. La ex-itudine non è mai un collante sufficiente, né in religione né in politica. Non esistono movimenti ex-cristiani, ex-cattolici o ex-ebrei, né partiti ex-comunisti o ex-fascisti o ex-radicali. 

Gli ex sono condannati alla solitudine, come i profughi, perché non condividono valori comuni se non il dispiacere di un'esperienza passata. Nel loro caso, il collante era solo Grillo. Caduto Grillo, cade ogni motivo di stare insieme. Infatti fra loro prevalgono personalismi, invidie, sospetti, rancori. Esattamente come nel M5s da cui sono scappati.

Ora possono scivolare nella sindrome degli spretati, o coltivare il proverbiale odio degli ex. Ma difficilmente riusciranno a costruire qualcosa di nuovo, e di efficiente. Basta vedere il niente in cui sono spariti in Emilia i vari Favia, Salsi o Tavolazzi. E la quasi comica retromarcia di Pizzarotti. 

Poi, in politica tutto cambia in fretta: magari fra pochi mesi il M5s si spaccherà ulteriormente, creando nuovi spazi per gli ex. 
Ma il fatto che, tranne la senatrice lombarda Laura Bignami, nessuno dei 36 ex rendiconti più, dando così ragione agli ortodossi dai quali sono accusati di essersene andati solo per i soldi, dimostra che non sanno fare politica. 
Se non capiscono che quei 2.500 euro al mese da restituire hanno un grande valore simbolico (politico, prima che morale), non andranno da nessuna parte.

Peccato, perché invece il Movimento 5 stelle avrebbe bisogno di una sana concorrenza, viste le promesse non mantenute e le delusioni create. I due milioni di elettori spariti alle europee non sono tornati agli altri partiti: si astengono e aspettano.