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martedì 10 gennaio 2017

Grillo cacciato dai liberali

Alde (Alleanza dei liberali e dei democratici per l'Europa) dice no all'accordo con M5s. La giravolta di Grillo finisce in farsa. 

intervista a Mauro Suttora

Sussidiario.net
10 gennaio 2017

La doccia fredda per Grillo e Casaleggio arriva alle 18.21: Alde (Alleanza dei liberali e dei democratici per l'Europa) dice no all'accordo con M5s. "Tre giorni intensi sono finiti" annuncia per primo su Twitter l'europarlamentare svedese Fredrick Federley, membro del Gruppo. Lo conferma poco dopo uno sconsolato Guy Verhofstadt, che vede svanire le sue chances di correre per la presidenza del Parlamento europeo (si vota dal 17 gennaio): troppe divergenze su questioni europee fondamentali. 

Finisce così un matrimonio di interesse durato un giorno, con gli stessi liberali di Alde che criticano le scelte dell'ex primo ministro belga e tanti grillini spiazzati da una decisione di vertice presa all'oscuro di tutti (il memorandum di intesa era del 4 gennaio) e sottoposta soltanto ieri alla ratifica degli iscritti.

L'epilogo? In serata Beppe Grillo se la prende con il Potere ("L'establishment ha deciso di fermare l'ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo") e annuncia il piano B: si chiama Ddm (Direct Democracy Movement). Ossia marciare da soli. 
I retroscena di una figuraccia europea nel commento di Mauro Suttora, giornalista di Oggi ed esperto di M5s.

Suttora, l'accordo Alde-M5s è saltato.

"Non si può credere che Grillo sia stato così ingenuo: si sarà fidato di David Borrelli. Una figuraccia. Ma anche la sua ultima dichiarazione è surreale: adesso accusa i poteri forti di non averlo voluto, poco prima voleva entrare nel club. Sono stati molto più onesti i liberali a dire no grazie, Grillo non fa per noi, anche se ci avrebbero guadagnato in termini di finanziamenti".

Verhofstadt non ci fa una gran figura.

"Verhofstadt con questo ha chiuso, credo".

Ricominciamo da Grillo. Domenica annuncia la svolta europeista, ieri la sottopone al voto online, poi si scopre che l'intesa con Alde è del 4 gennaio.

"E' grave che quel documento non sia stato reso pubblico immediatamente. Ma è grave anche che tutti i deputati europei ne fossero all'oscuro, tranne Borrelli che ha fatto la trattativa. E quando la cosa è uscita, tutti a fare il pesce in barile".

Paura di passare per dissidenti?

"Certo, perché in M5s chi incomincia a imboccare quella strada fa la fine di Pizzarotti".

Borrelli sarebbe diventato vicepresidente esecutivo di Alde. Ma chi è?

"L'unico che conta tra i 17 arrivati a Bruxelles due anni e mezzo fa. E' stato il primo consigliere comunale grillino, eletto a Treviso nel 2008. Dopo i due mandati non si è ripresentato perché puntava a ben altro".
E cioè?

"I 40mila euro netti al mese che prende un eurodeputato. Fra stipendio, spese di rappresentanza, spese varie, i 21mila euro mensili per i collaboratori, in totale arriviamo a 40mila euro circa. Forse è questo che spiega il silenzio degli eurodeputati".

Non danno una parte dello stipendio al Movimento?

"Mille euro al mese, un'inezia rispetto ai 2.500 euro al mese versati dai deputati italiani, anche se in proporzione i più penalizzati restano i consiglieri regionali".

Tutto rendicontato.

"Con autodichiarazioni rese sulla fiducia". 

M5s non era un movimento di opposizione all'establishment? Che cosa succede?

"Succede che M5s si iscrive perfettamente nella tradizione trasformista dei politici italiani, Da Depretis e Mussolini fino a Scilipoti. La comica è che sono andati a scegliere il partito più lontano dalle loro vecchie posizioni, perché i liberali sono i più europeisti di tutti". 

Però ieri mattina il voto ha ratificato l'accordo. Su 135mila hanno votato in 40mila e il 78 per cento ha detto sì, pari a quasi 32mila votanti.

"La cosa sorprendente è che i media continuino a prendere per buoni questi voti, fatti sul server privato di una società commerciale e certificati — si fa per dire — sulla base di semplici autodichiarazioni. E poi votare senza un minimo di preavviso, su. I greci, ai quali dobbiamo l'abc della democrazia, davano un minimo di tempo all'agorà prima di esprimersi". 

La nuova amministrazione Usa potrebbe per la prima volta "sfiduciare" la moneta unica. Non crede che la repentina svolta europeista di Grillo si spieghi con la necessità di sorreggere il sistema nel momento in cui questo potrebbe seriamente vacillare? Vorrebbe dire che M5s dietro le quinte obbedisce a qualcun altro. Ma forse è un'ipotesi troppo ardita.

"Invece ha un senso: la giravolta è così grande che deve esserci qualche motivo molto serio. Intanto, i fatti parlano chiaro: Borrelli è lui stesso un tecnico informatico, come quasi tutti i dirigenti grillini, e soprattutto è il braccio destro di Davide Casaleggio, al quale, forse, interessano soprattutto i "meccanismi di democrazia diretta" e l'agenda digitale citati nella bozza di accordo con Alde. Non è un caso che i verdi si siano opposti innanzitutto perché sospettosi della struttura "proprietaria" di M5s".

Ora il Movimento di Grillo sarà penalizzato anche in Italia?

"Sì, perché chi è contro l'euro voterà Lega e non più Grillo, mentre chi è a favore ne ricaverà un'impressione di inaffidabilità. Gli uni e gli altri rifletteranno una volta di più sul fatto che il referendum sull'euro era solo una patacca rifilata da Casaleggio e Grillo agli ignari attivisti che raccoglievano le firme".

Cosa dobbiamo aspettarci?

"Di tutto".

Fratture all'interno del Movimento?

"Ci sono e sono sanguinose, come ha dimostrato la sorella di Paola Taverna contro la Raggi: "Datte na calmata e non rompere i coglioni altrimenti t'appendemo pe' le orecchie ai fili dei panni sul balcone", questo è il livello". 

Ci sono odi reciproci ma nessuno osa dire nulla, perché?

"Perché temono le epurazioni che hanno fatto fuori un terzo dei senatori". 

Virginia Raggi?

"Riceverà l'avviso di garanzia. La sua vita politica sarà comunque difficile con la Taverna e la Lombardi che la detestano e che hanno una grandissima popolarità".

Di Maio?

"Rovinato dalla vicenda Raggi". 

Il voto subito?

"Macché, attendono il vitalizio che scatta a settembre. Avrebbero un metodo efficacissimo per vincere le elezioni: dimettersi il giorno prima che scatti il vitalizio. Ma dubito che lo faranno".

Federico Ferraù

mercoledì 18 maggio 2016

Feltri: tifo Raggi

Feltri, chi vincerà a Roma il 5 giugno? 
«Mi auguro che vincano i 5 Stelle. Per un motivo semplice: se la signora Raggi risolve i problemi di Roma, cosa che mi sembra altamente improbabile, tanto di guadagnato per tutti. Se fa dei pasticci come i suoi predecessori, ci toglieremo finalmente dai coglioni anche i 5 Stelle».
(intervista al settimanale Oggi, 18.5.16)

venerdì 8 aprile 2016

"Piastratissima"

Grillo fa il miracolo: è la Raggi. Sciolto il mistero Bedori: era poco avvenente

di Marco Zonetti


Affari Italiani, 8 aprile 2016

Studio televisivo, make-up da passerella, capelli piastratissimi, ciglia sbattute con civettuolo pudore. No, non va in scena l’intervista all’attrice, modella, cantante, soubrette del momento. Sotto i riflettori c’è invece Virginia Raggi, candidata dell'M5S per la poltrona di sindaco di Roma.

Nel salotto di Otto e mezzo, amministrato da una decisamente soffice Lilli Gruber, la grillina che tenta la scalata al Campidoglio trova l’accogliente atmosfera e il piglio compiacente di un rotocalco pomeridiano. Illuminata da decine di migliaia di watt che neppure Greta Garbo in Mata Hari, la Raggi risplende come una madonnina votiva e risponde alle (particolarmente facili) domande della rossa nazionale e di Massimo Franco, meno incalzante che mai.


È sbalorditivo il lavoro d’immagine effettuato sulla Raggi da parte della Casaleggio & Associati: la mammina paludata in abiti anonimi, e dai capelli scompigliati dal vento sferzante ai gazebo e ai tavoli di raccolta firme, è stata tramutata in una sorta di Penelope Cruz de noantri, che procede nei vagoni della metro C come su un red carpet e che è onnipresente nei talk show televisivi, alla radio, sui giornali emulando l’Alba Parietti “coscia lunga della sinistra” dei vecchi tempi.

Mentre fino a qualche tempo fa i grillini si facevano un vanto di non essere televisivamente accattivanti nonché la bestia nera dei mass media, adesso antepongono la resa estetica alla valenza battagliera delle loro istanze.

Qualche anno fa Grillo auspicava una casalinga ministro delle finanze. Poche settimana fa, la casalinga Patrizia Bedori – candidata sindaco di Milano – è stata messa poco gentilmente alla porta, rea di essere poco convincente dal punto di vista mediatico e di scarsa avvenenza. E gravissime offese all’aspetto fisico della Bedori, secondo quest’ultima, proverrebbero proprio dal mondo pentastellato.


Virginia Raggi sembra essere diventata l’emblema dell’accusa che da più parti e fin dall’inizio viene mossa al m5s, e cioè che i suoi candidati – ed eletti nelle istituzioni a spese degli italiani – siano scelti con meccanismi simili a quelli del televoto nei reality o nei talent show (ma con molti meno voti).

 L’aspirante prima cittadina di Roma, sottoposta a un pedissequo e mirato studio sull’immagine da parte di una società di consulenza per le strategie digitali (la Casaleggio & Associati, per l’appunto), porta all’estremo questa dinamica finendo per diventare un personaggio e non più una persona; una cittadina del villaggio globale più che la “semplice cittadina” tanto sbandierata agli albori dell'M5S; una sorta d’incrocio fra una Suor Cristina laica e Marina La Rosa, indimenticata “gatta morta” del primo Grande Fratello.

 Il movimento antisistema, quindi, ufficializza con la Raggi il suo posto d’onore nel sistema più potente di tutti: quello mediatico, in cui non conta la verità bensì l’apparenza; non l’essere umano in carne e ossa bensì il simulacro; non il senso civico bensì il senso estetico.


Il dispiego di mezzi per rendere Virginia Raggi più telegenica che mai è, ahinoi, inversamente proporzionale alla quantità dei contenuti veicolati dai suoi discorsi. Basta vederla negli studi di Otto e mezzo: ai quesiti di Gruber-Franco, la grillina riesce a parlare per svariati minuti senza tuttavia dire alcunché, senza dare una sola risposta, senza approfondire un suo punto di vista personale.

L’aspirante sindaco romano del movimento cinque stelle appare ma non c’è, come gli ologrammi evocati dalla sua fata madrina Beppe Grillo, che da Cenerentola sconosciuta e nascosta nei polverosi studi legali a sbrigare fotocopie, l’ha trasformata dalla sera alla mattina – complice Casaleggio – in un’affabulatrice televisiva.


L’incantesimo finirà alla mezzanotte del cinque giugno con una sonora sconfitta, o Virginia Raggi vivrà felice e contenta sulla poltrona di sindaco di Roma? Il problema, almeno per lei, non sussiste: volendo, una poltrona di tronista televisiva non gliela toglierà nessuno.

mercoledì 2 marzo 2016

Grillo guarda a destra

Corriere della Sera, 2 marzo 2016

di Massimo Franco

E pensare che il Pd accarezzava un’alleanza con Beppe Grillo. Adesso, a causa delle unioni civili, i Dem sono risucchiati a sinistra e Beppe Grillo punta all’elettorato di centrodestra. Quasi volesse fare un anti partito della Nazione moderato.

Era già successo dopo il voto del 2013, quando l’allora segretario Pier Luigi Bersani sognò un accordo con Grillo; e ora, in occasione della legge sulle unioni civili, Renzi era certo di un’intesa col Movimento.

E invece, mentre i Dem si dividono su Verdini e l’ex segretario Bersani ripete di non volere scissioni, il M5S si smarca da tutto; e può accentuare il profilo di movimento che guarda in tutte le direzioni: soprattutto a destra. La candidatura di Virginia Raggi a Roma non è una scelta isolata.

Riflette una virata in atto nell’intero gruppo dirigente nazionale. La rottura con la sinistra sulle adozioni per le coppie omosessuali si sta rivelando l’occasione per ridefinire le proprie coordinate; e per accentuare un’attenzione verso l’elettorato abbandonato dalla crisi del berlusconismo e dall’estremismo xenofobo leghista. 

Più Palazzo Chigi mostra di condividere le istanze delle organizzazioni gay, più la cerchia grillina se ne dissocia. Già era emerso un avvicinamento agli ambienti cattolici per il Family Day. Ora la strategia è vistosa: quasi Beppe Grillo pensasse a un anti-«partito della Nazione» moderato.

Renzi appare risucchiato a sinistra. Il suo candidato a Milano, Giuseppe Sala, si prepara all’accordo con il Sel di Nichi Vendola. E, quasi di rimbalzo, il M5S piega il suo trasversalismo in direzione dei voti moderati. Attacca frontalmente la pratica dell’«utero in affitto» alla quale ha fatto ricorso Vendola in California per avere un figlio. Accusa il Pd di voler riproporre alla Camera la legge sulle adozioni solo «per ingraziarsi le associazioni gay che sono arrabbiate», sostiene Luigi Di Maio.

Il vicepresidente della Camera del M5S aggiunge che «non ci sono voti di centrodestra e di centrosinistra». E propone che sia un referendum popolare a decidere se le coppie omosessuali possano adottare bambini: risultato che non otterrà, ma che intercetta la contrarietà di una fetta maggioritaria di italiani. E questo mentre un altro membro del direttorio del M5S, Alessandro Di Battista, ricorda che Vendola è stato rinviato a giudizio per il disastro ambientale dell’Ilva di Taranto.

Si indovina un doppio calcolo: sottolineare lo spostamento a sinistra del Pd in vista delle amministrative di giugno; e attirare pezzi di elettorato deluso. Si tratta di un’operazione spregiudicata, ma resa facile dall’eterogeneità del M5S e dalle controverse trasparenze della «rete». Smentisce i luoghi comuni su un Grillo di sinistra e soprattutto su consensi strappati solo a Pd e Sel. Il vero, capiente serbatoio dell’astensione, in realtà, sembra essere quello di chi appoggiava quel populismo dall’alto, che Silvio Berlusconi ha incarnato a lungo.