lunedì 2 dicembre 2013

Genova, 2 dicembre: Curzio Maltese

Grillo show, tra attacchi al Colle e piani economici ecuadoregni

di Curzio Maltese

la Repubblica, 2 dicembre 2013

Nella bella piazza di Genova dove si esibì il grande William Cody, in arte Buffalo Bill, va in scena un secolo più tardi il circo indiano della Casaleggio Associati, in arte Beppe Grillo. Allora come oggi, «il più grande spettacolo del mondo». 
È davvero uno show unico nella storia questo Movimento 5 Stelle fondato da un comico e diventato dal nulla il primo o secondo partito di una grande nazione e per questo continua a richiamare inviati da ogni angolo del pianeta. Popolo, un po' meno. Dei centomila attesi per il terzo V-Day dell'era grillina ne sono arrivati un terzo, soprattutto da fuori. I genovesi, che conoscono bene il concittadino, sono rimasti a casa. Grillo ci scherza sopra («Vedo un tre metri quadri vuoti, il Tg1 ci farà sopra un servizio»), ma la delusione dei militanti è tanta. 
Si va comunque in scena, da professionisti, secondo lo schema solito. Gianroberto Casaleggio è arrivato in largo anticipo, fra un fluire di chiome grigie al vento di tramontana, e si è piazzato nel backstage da bravo impresario. 

Alle due è arrivata sul palco la star, Grillo. Un Beppe in gran forma, dimagrito, ringiovanito, in palla e tornato spiritoso. E' già pronto per la campagna elettorale europea e magari anche italiana, all'insegna dell'antieuropeismo e della nuova parola d'ordine: oltre. Al benaltrismo classico della vecchia politica italiana («i problemi sono ben altri»), il grillismo contrappone da oggi la nuova frontiera: il benoltrismo. Un programma economico al cui confronto i libri della Rowlings scarseggiano di formule magiche. Trattandosi di uno spettacolo contano più le emozioni che le ragioni, il «numero» rispetto ai numeri. 

Nel benoltrismo di emozioni e «numeri» ce n'è in abbondanza e ognuno può scegliere i più divertenti. A parte il referendum sull' euro, altri due o tre, in particolare, mettono allegria: la «rinegoziazione del debito pubblico sul modello ecuadoregno», la nazionalizzazione delle banche e l'inserimento di Internet gratuito nella Costituzione. 
Cominciamo dall'Ecuador. La simpatica nazione andina ha rinegoziato nel 2008 la bellezza di 3,5 miliardi del debito pubblico, circa l' 8 per cento del Pil, senza grandi scossoni. L'Italia dovrebbe rinegoziare oltre 2000 miliardi, 133 per cento di un Pil per giunta in calo, con prevedibile catastrofe planetaria, fallimento a catena di sistemi bancari europei e di diversi fondi pensione stranieri, crollo dell'euro. Perfino chi scrive Pino Chet staccato può valutare le differenze. 

Per nazionalizzare il sistema bancario, che tutti odiamo, bastano invece appena 400 miliardi, una cifra che un governo italiano può facilmente raccogliere nel giro di una ventina d' anni, a patto di rimettere da domani l'Imu e portare il prezzo della benzina a 10 euro al litro. Internet libera nella Costituzione non richiede commenti, è semplicemente sublime. Del resto, secondo il profeta Casaleggio, fra sei anni una guerra termonucleare spazzerà sei miliardi di persone dalla faccia della terra, e quindi non è il caso di perder tempo a studiare soluzioni serie. «Oltre» saremo tutti morti. 

Grillo dal palco è comunque una forza della natura, il più grande animale da palcoscenico mai visto. Se la prende con destra, sinistra, centro, poteri forti e deboli, banche e sindacati, con lo stesso popolo italiano che è troppo ignorante, tanto da figurare agli ultimi posti delle classifiche di alfabetizzazione «dell'Oxa», ripetuto due o tre volte. Lui stesso però potrebbe cominciare evitando di confondere l'Ocse con la brava cantante Anna, compagna di tanti festival di Sanremo. Le sue promesse miracolose sono comunque più affascinanti delle vecchie balle della politica, che una volta erano nuove promesse, e scatenano applausi ogni mezzo minuto. La folla è sempre il soggetto più interessante negli happening grillini. 

Dietro al palco sono ammessi soltanto i giornalisti stranieri, che in realtà scrivono cose terribili, ma nessuno li legge. A un certo punto mi pare di scorgere il corrispondente di Le Monde, Philippe Ridet, al quale invidio una folgorante definizione: «Grillo è l'unico comico che mi fa paura». Così i giornalisti italiani sono costretti a stare fra la gente ed è un bel regalo. 

Non è la folla sterminata di Piazza San Giovanni a Roma, alla vigilia del voto, ma è sempre un buon campionario di facce oneste. Ragazzi ai quali la classe dirigente ha preparato un futuro da emarginati e non si capisce perché dovrebbe votarli ancora. Vecchi militanti della sinistra che la sinistra ha fatto di tutto per buttare fuori dalle sezioni, ora circoli. Cittadini della Val di Susa che hanno tutto il diritto di protestare contro la Tav, senza essere bollati come estremisti o terroristi. Una delegazione di aquilani, vittime della peggiore truffa della seconda repubblica. Italiani come tanti altri, che si alzano ogni giorno alle 7 per guadagnare al mese quanto una mezza calzetta di consigliere regionale si mangia in una festa a spese del contribuente. 

Saranno magari un po' sommari nel giudizio sull'informazione («Siete tutti a libro paga di Berlusconi e del Pd»), ma è difficile non provare simpatia, comprensione. In tanti fanno la fila al gazebo dei parlamentari, che in questi mesi, siamo onesti, non hanno soltanto discusso di scontrini e parenti da assumere. Un esempio è la sacrosanta battaglia contro lo scellerato acquisto di F35. Tutti quanti meriterebbero, come altri italiani, capi meno furbi. 

Così, mentre dal palco volano sogni colorati, come i palloni gialli che si perdono nel cielo azzurrissimo di Genova, ci si domanda dove finirà tutta questa passione o illusione. Alla fine Grillo lancia in alto il pallone più grosso, la «modesta proposta» che è in realtà il suo contratto con gli italiani in sette punti. L'ha scritta Casaleggio e lui la firma, col suo nome. E il suo nome era Buffalo Bill.

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