martedì 22 dicembre 2015

Grillini spendaccioni

AVEVANO PROMESSO DI VIVERE CON 2.500 EURO AL MESE. ALCUNI EURODEPUTATI OGGI POSSONO ARRIVARE A 40MILA. NON PUBBLICANO RENDICONTI. A MILANO IL M5S NASCONDE I RISULTATI DELLE PRIMARIE PER IL SINDACO. E A TRIESTE CANDIDANO LA MOGLIE DI UN EURODEPUTATO

di Mauro Suttora
Oggi, 9 dicembre 2015

All’inizio facevano a gara su chi restituiva di più. Due anni e mezzo fa i 163 neoparlamentari grillini (oggi fra espulsi e scappati sono rimasti in 127) rinunciavano con orgoglio a 5-6mila euro mensili, sui 14mila netti che spettano a ogni parlamentare italiano.
Oggi, invece, la media dei tagli di stipendi e rimborsi si è dimezzata a 2-3mila euro al mese. Sono sempre i migliori, intendiamoci: pubblicano sul sito www.rendiconto.it le distinte delle loro spese, e si vantano di versare i milioni di euro così risparmiati in un fondo ministeriale di garanzia per le piccole e medie imprese.

Ora vogliono abitare tutti nel centro di Roma

Ma l’entusiasmo del 2013 è svanito. Ora alcuni di loro riescono a spendere oltre 2mila euro per l’alloggio a Roma. Un tempo politici di alto livello come Togliatti, De Gasperi, Pertini o Nenni si accontentavano di affitti in periferia (Balduina, Garbatella). Oggi anche gli ex francescani 5 stelle, forse in omaggio al loro nome, pretendono di avere un “quartierino” di lusso in centro.
Quando si muovono, disprezzano i mezzi pubblici. Ogni mese spendono anche mille euro in trasporti. Poiché godono di aerei e treni gratis, sono spese per taxi e benzina.

Fino agli anni 80 i portaborse non esistevano. Poi i politici riuscirono a mettersi nello stipendio le spese per i segretari personali. Nanni Moretti denunciò questo simbolo della partitocrazia nel film Il Portaborse di Daniele Luchetti (1991). Niente da fare. Oggi anche gli antipolitici grillini spendono con allegria migliaia di euro in “assistenti”.
Quasi tutti ne hanno assunti due, nonostante la pletora di funzionari di Camera e Senato che forniscono assistenza a ottimi livelli. E malgrado le decine di milioni di euro che anche il Movimento 5 stelle incassa come finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari, debordanti di personale.

Un altro modo per aggirare lo sbandierato rifiuto dei soldi statali sono le cosiddette “spese per attività ed eventi sul territorio”. Quasi tutti gli eletti grillini ormai mettono migliaia di euro in questa voce: stampa di “materiale informativo” per comizi e manifestazioni. Luigi Di Maio, per esempio, 1.900 euro solo nel mese di settembre.

Addio movimento dei cittadini, insomma: i 5 stelle si sono trasformati pure loro in un partito con 1.600 eletti e centinaia di burocrati stipendiati. Gli unici a rispettare la vecchia promessa di vivere con 2.500 euro al mese sono i cento consiglieri regionali. Ma anche loro cercano di svicolare, come dimostrano le recenti proteste degli attivisti in Emilia-Romagna.

700 euro di posacenere per un’eurodeputata

I più fortunati sono i 17 eurodeputati. Fra stipendio e rimborsi vari, dispongono di 41mila euro netti mensili: 21 mila solo per i portaborse. È uno dei tanti scandali di Bruxelles. E i grillini si sono adeguati: non tutti usano il totale dei rimborsi, ma si tagliano dallo stipendio solo mille euro mensili.
L’unica virtuosa è la lombarda Eleonora Evi: rinuncia a 3.000 euro.

Contrariamente agli eletti nazionali, solo cinque rendicontano parzialmente le spese. Forse è meglio che non lo facciano, visto che una dichiara di aver comprato “posacenere tascabili ecologici” per 700 euro.
Cinque non hanno neppure una pagina web, in barba alla promessa di essere un movimento on line. Due hanno assunto sette portaborse ciascuno. Di questi, quattro sono “assistenti territoriali”: non stanno a Bruxelles, ma in Italia per curare il loro collegio elettorale.
Gli iscritti protestano. I sondaggi elettorali sono ottimi, «ma il Movimento 5 stelle sta diventando un Collocamento 5 stelle», denunciano su Facebook.
Manca ancora mezzo anno alle comunali di giugno, ma i grillini già litigano.

A Torino è stato fatto fuori uno dei due consiglieri comunali uscenti, il pioniere Vittorio Bertola: considerato troppo vicino al dissidente Federico Pizzarotti, sindaco di Parma.
A Trieste un eurodeputato vorrebbe candidare sindaco sua moglie. A Bologna niente primarie: un fedelissimo di Gianroberto Casaleggio, Massimo Bugani, dopo avere eliminato due consiglieri regionali e una collega eletta al Comune (Federica Salsi, espulsa perché osò andare in tv, mentre ora ci vanno tutti) si è fatto proclamare candidato sindaco con lista bloccata.

Vette surreali a Milano. Alle primarie hanno votato solo 300 iscritti (su un totale sconosciuto, perché la società commerciale privata Casaleggio srl non divulga gli elenchi neanche ai parlamentari), e ha vinto Patrizia Bedori con 74 preferenze. Ma i risultati sono stati secretati «per evitare strumentalizzazioni». Dalla democrazia diretta a quella senza risultati.
Il (presunto) secondo classificato, pare a un solo voto dalla Bedori, si è disiscritto dal M5s. Un altro degli otto candidati chiede di annullare il voto.

A Livorno il sindaco Filippo Nogarin ha la città invasa dalla spazzatura. «L’azienda della nettezza urbana era in deficit», si giustifica. Anche Pizzarotti ha trovato Parma in rosso. Però lui sta sistemando i conti senza rivolte popolari.
La città più importante dove si voterà il 12 giugno è Roma. Qui i grillini sono in alto mare, anche se i sondaggi li danno in testa come partito (come singoli vincerebbero Giorgia Meloni o Alfio Marchini).
Alessandro Di Battista è popolare, ma non lo candidano per un’astrusa regola grillina che obbliga gli eletti a finire il proprio mandato. Se fosse applicata a tutti, non sarebbero stati eletti né Matteo Renzi né Sergio Mattarella. Ma Beppe Grillo ama divertirci.
Mauro Suttora

Di Battista risparmia, ma gli altri...

domenica 22 novembre 2015

Risultati primarie Milano

Solo 74 voti di "prima scelta" per l'esponente grillina Bedori

La Repubblica, 21 novembre 2015

di Matteo Pucciarelli

IN TUTTO 295 elettori, con la prima classificata (Patrizia Bedori) che ha ricevuto 74 voti di "prima scelta" (contro i 73 del secondo arrivato, Livio Lo Verso). Sono questi i numeri delle primarie interne al M5S dello scorso 8 novembre. Erano consultazioni riservate ai soli iscritti del sito beppegrillo. it, che su Milano sono circa 1.800. Quindi se non si è tratto di un flop, poco ci manca.

 Il metodo elettorale scelto è stato quello di Condorcet, per la verità assai complicato ma — garantiscono gli esperti del movimento — capace di arrivare ad una scelta la meno divisiva possibile. Fatto sta che il voto, alla fine e al di là delle dichiarazioni di facciata, ha spaccato davvero lo zoccolo duro degli attivisti milanesi. Lo stesso Lo Verso ha già annunciato di non volersi più candidare per il Consiglio comunale per "motivi personali". Il terzo classificato, che invece era dato favorito, cioè Gianluca Corrado, ha fatto lo stesso salvo poi cambiare idea.

Articolo di Repubblica

giovedì 5 novembre 2015

Milano, candidati sindaci M5s

Domande e emergenze: si scalda la graticola dei 5 Stelle


IL CASO/USCITA PUBBLICA PER GLI OTTO ASPIRANTI PRIMI CITTADINI,DOMENICA LA SCELTA DAL VIVO DEGLI ISCRITTI

Repubblica, 3 novembre 2015

MATTEO PUCCIARELLI

CINQUE minuti a candidato, per presentarsi; cinque domande del pubblico a testa, per capire meglio chi sono gli otto possibili candidati sindaco del Movimento Cinque Stelle. Il popolo grillino si ritrova nella sala del Consiglio di zona di via Sansovino, circa duecento attivisti in religioso silenzio ad ascoltare. 

È tornato il tempo delle graticole, il format già sperimentato per le regionali; perché «da noi sono i cittadini a decidere i propri rappresentanti e non una segreteria di partito», dice prima dell'inizio il deputato milanese Manlio Di Stefano. Il tutto in vista delle primarie di domenica prossima, che stavolta non saranno sulla rete ma dal vivo, sempre riservate agli iscritti a beppegrillo.it.

Chi comincia? Una militante sceglie una lettera, è la G. Così tocca ad Antonio Laterza, a Milano dal 1988- racconta - «nel 2008 conseguo un master al Politecnico, nel 2011 mi sposo, poi sono nati i miei due figli». Qualcuno parla di sé, qualcun altro punta tutto sulla politica, sul programma, sulle idee. 

Livio Lo Verso (si dice che sia uno dei favoriti) ricorda di voler essere semplicemente un portavoce, «conta solo la squadra». Fulvio Martinoia parte dalla propria genesi grillina: i primi V-day e le campagne elettorali degli albori, «ma dopo molte esperienze di back end ora mi presento direttamente».

 Walter Monici invece è pensionato, ricorda la sua formazione cattolica, a un certo punto parte con una intemerata ambientalista contro il teatro Burri a parco Sempione. La più applaudita, invece, è l'unica donna in lizza: Patrizia Bedori. Spigliata è spigliata, mentre parla sa toccare i tasti giusti della base: la rete utile a coordinarsi, il farsi portavoce dei cittadini, la sensibilizzazione nella raccolta dei rifiuti e la decrescita. «Non esiste nessuno che ci dice cosa votare e per chi, altro che Casaleggio », e via con altro applauso. Matteo Cattaneo si porta un biglietto con gli appunti delle cose da dire, «sul programma non dico nulla, perché dovranno stilarlo i cittadini». Poi saluta così: «Non ho furore giacobino e mi piace risolvere i conflitti».

L'altro dato per favorito, origini siciliane, avvocato, Gianluca Corrado: «Amo Milano, qui sono nati i miei figli e la mia compagna. Incarno i valori delle persone che sono qui, voglio essere un portavoce fattuale». Ultimo della lista, Francesco Franz Forcolini, nato «sotto le bombe degli alleati», scuole serali, operaio, imprenditore. «Ho visto la Milano da bere- racconta - ora siamo nella Milano da mangiare di Expo e il futuro sarà anche peggio, ci sono gli avvoltoi che vogliono quelle aree».

Molto fair play tra tutti, ma con la prima domanda di Mauro Suttora esce fuori lo spirito grillino più profondo: «Scusate, vorrei sapere qual è la vostra dichiarazione dei redditi..».


venerdì 23 ottobre 2015

I grillini abruzzesi sono intelligentissimi

secondo loro anche Gandhi, Mandela o Martin Luther King sarebbero ineleggibili, perché furono condannati per disobbedienze civili:

GARANTE DETENUTI: M5S, CONDANNE RENDONO BERNARDINI INELEGGIBILE

L'AQUILA - "Anche se le battaglie portate avanti dal segretario dei radicali sono condivisibili, Rita Bernardini è, e resta, ineleggibile come Garante dei detenuti. Le condanne riportate dalla Bernardini la rendono ineleggibile in un'ottica di legalità a cui questo Paese dovrebbe costantemente ambire".
A dichiararlo sono i consiglieri regionali del M5S Abruzzo.

"Le sentenze, anche se relative ad atti di disobbedienza civile finalizzati ad affermare valori di principio condivisibili, sono un fattore determinante da cui non si puo' prescindere".

"Non si tratta di un giudizio legato alla persona - affermano - la quale è stata sostenuta in alcune battaglie anche dal M5S, ma mera tutela del ruolo che la Bernardini andrebbe a ricoprire. Detto ruolo è anche finalizzato e ispirato alla rieducazione dei detenuti e ciò ci sembra inconciliabile con il presupposto di aver ignorato una legge vigente".

"Questo ci pare un controsenso insuperabile. Non possono ammettersi deroghe al rispetto della legge. Speriamo - concludono i consiglieri - che Rita Bernardini comprenda la nostra posizione che non è certo contro di lei ma solo in favore del rispetto della legalità".
23 ottobre 2015

articolo

domenica 13 settembre 2015

Anche Casaleggio proprietario del marchio M5s

Corriere della Sera del 13/09/15

Un posto a Casaleggio nello statuto
L’idea per rafforzare la guida del M5S.

di Emanuele Buzzi

Bocche cucite, ma sorrisi e abbracci. I Cinque Stelle che si ritrovano a Reggio Emilia per il matrimonio di Maria Edera Spadoni sono già proiettati ai prossimi mesi. Con alcune novità in vista. Non un cambio del dna del Movimento come qualcuno ha paventato, ma un abito nuovo, quello sì, per una nuova stagione politica. 
 «Siamo uniti, vedremo cosa accadrà, dateci tempo e vedrete anche voi», dice qualche esponente.

In mente ci sono le parole di Gianroberto Casaleggio che, in un’intervista al Fatto Quotidiano, ha ribadito con fermezza che né lui né Beppe Grillo allenteranno la loro presenza all’interno del Movimento. 
 I legami, quello tra Grillo e Casaleggio e quello dei due fondatori con la loro creatura politica, sono saldi. Anzi. Sta prendendo corpo l’idea di rendere ancor più radicato — anche a livello formale — questo sodalizio.

 A dicembre scadono i tre anni di mandato dello statuto che definisce le cariche interne al Movimento, quello statuto che è stato presentato per intenderci alle ultime elezioni Politiche e che definisce presidente, segretario e tesoriere dei Cinque Stelle. 
 L’ipotesi è con il nuovo corso (le cariche durano tre anni) di annoverare nel ruolo di competenza anche lo stratega dei pentastellati. Lui e Grillo sullo stesso piano, come nel ruolo istituzionale di «garanti» che si sono ritagliati.

 Indiscrezioni che, però, vengono viste come «un passo dovuto» da alcuni parlamentari. La medesima operazione potrebbe essere intrapresa anche con la proprietà del marchio del Movimento, registrato a suo tempo (nel marzo 2012) dal solo Grillo. D’altronde, si tratterebbe di «ratificare» solo ciò che è già visibile nei fatti.

 
 Il logo di Italia 5 Stelle, la kermesse in programma ad ottobre a Imola, ne è un esempio: per la prima volta i due fondatori campeggiano insieme in sidecar. Dettagli che nel linguaggio del Movimento hanno un significato profondo e che lanciano — insieme alla piattaforma Rousseau — una nuova stagione. I garanti da una parte, il portale e il direttorio allargato (che Casaleggio indica come «comitato operativo») dall’altra. 

La struttura e la strategia pentastellata prende forma, si puntella, tenendo fede alla filosofia di base del Movimento: il credo nella Rete, l’essenza leaderless . Ma con dei punti di riferimento. Così, quando lo stratega spiega che il M5S non ha un capo e apre al «comitato operativo allargato», Di Maio — da Reggio Emilia — gli fa eco: «Il direttorio allargato? Non c’è nulla di nuovo. Casaleggio ha fatto chiarezza come sempre con la sua solita precisione». 
 

Intanto si preparano le prossime battaglie e si delinea sempre più la silhouette futura del Movimento. In una parola: competenza. Occhi puntati su chi lavora in commissione. Nei prossimi mesi, a partire da Imola, si cercherà di rendere più visibili agli attivisti i responsabili delle varie iniziative: un «chi fa cosa» per mettere in rilievo il lavoro svolto in questi anni in Parlamento e creare dei punti di riferimento identificabili a seconda delle tematiche. 
 

Sul piazzale del municipio, davanti alla Sala del Tricolore, qualcuno si lascia andare e profetizza: «Sarà un anno lungo, dobbiamo rimanere calmi, con i piedi per terra e cercare di spiegare bene alla nostra base cosa sta accadendo». Poi sono di nuovo parole, sorrisi. Un drone filma l’uscita degli sposi dall’alto: per un giorno la politica sembra (abbastanza) lontana.

Emanuele Buzzi


Inviato da iPad

venerdì 11 settembre 2015

Porro: Lezzi sì, Taverna no

Nicola Porro, conduttore di Virus (Rai2), intervistato da Italia Oggi il 10 settembre 2015:  
(…)
D. I grillini, che hanno cambiato attitudine verso la tv, le interessano?
R. Su di loro ho un'idea precisa: alcuni di loro che sono arruffa popolo, sono figli di una cultura antagonista. E quelli, da me, hanno pessimo risultato, perché il mio pubblico non la vuole sentire da nessuno. Però...
D. Però?
R. Però una parte del M5s cerca di raccontare bene i motivi, le prese di posizione e si sta sganciando da un tic allucinante, che è il veleno della politica moderna, ossia che una cosa è autentica «perché l'ho letta su Internet». Ecco, quella è vera classe dirigente, è già entrata nel palazzo.
D. Insomma un Luigi Di Maio lo vedremo a Virus mentre non ci sarà Alessandro Di Battista.
R. Perfetto. Come vedrà una Barbara Lezzi e non certo una... Non mi viene in mente un analogo femminile di Di Battista.
D. Facciamo un'altra romana come Paola Taverna? 
R. Ah, perfetta. Lezzi sì, Taverna no.
(…)

mercoledì 2 settembre 2015

Imola

Corriere della Sera del 02/09/15

Il cantautore (militante) che farà l’inno dei Cinquestelle

MILANO Massima concentrazione su «Italia 5 Stelle»: è il mantra della macchina organizzativa del Movimento. La kermesse d’ottobre a Imola si avvicina e i pentastellati stanno lavorando all’evento.
Ieri si è tenuto a Milano un vertice alla Casaleggio associati con, tra gli altri, Massimo Bugani e Roberta Lombardi. Un summit per chiarire alcuni dettagli logistici della manifestazione, ma anche per scegliere insieme a Gianroberto Casaleggio l’inno della tre giorni pentastellata.

Dopo «Non sono partito» di Fedez e «Ognuno vale uno» di Supa Cush, il prossimo tormentone musicale potrebbe avere come autore Andrea Tosatto (nella foto al Circo Massimo nel 2014 con Beppe Grillo), molto seguito in Rete nel mondo dei Cinque Stelle.
Tosatto, infatti, ha realizzato una serie di cover-parodie di canzoni celebri, quasi tutte a sfondo politico. Da «Finché c’è Currò» a «Cosa resterà di questi euro 80»: testi spesso al vetriolo, come le battute — a volte «politicamente scorrette» — che campeggiano sulla sua pagina Facebook.
Tosatto, 42 anni, ha realizzato già l’inno del M5S per le ultime Regionali in Liguria.

Tra gli altri punti toccati nel vertice anche la questione logistica: sarà prevista un’area camping ad hoc. Una zona di cui potrebbero beneficiare gli stessi Grillo e Casaleggio che, secondo indiscrezioni, a Imola potrebbero arrivare proprio a bordo di un camper M5S.

Intanto i militanti (e non solo) iniziano a discutere della manifestazione. Iniziative che saranno vagliate nelle prossime settimane. Mentre a Roma si parla di organizzare alcune agorà a tema, Parma proporrà uno stand per i sindaci. Ciò che è certo è che il Movimento cercherà di dare spazio alle diverse anime e specificità territoriali.

Emanuele Buzzi

mercoledì 19 agosto 2015

Grillo si ritira?


di Mauro Suttora

Oggi, 19 agosto 2015

«No, secondo me non si ritira. Al massimo si prenderà più spazio per altre cose. Ma lo faremo tutti noi parlamentari: dopo due legislature torneremo al nostro lavoro. Tranne chi il lavoro non ce l'aveva, e allora magari farà il politico a vita».

La senatrice Serenella Fucksia è una dei pochi grillini che possono permettersi di parlar chiaro: né fedelissima né dissidente, non ha ambizioni di carriera. E commenta così l'annuncio di Beppe Grillo, che ha dichiarato: «Il Movimento 5 stelle può andare avanti anche senza di me. Io ho un'età pazzesca, una famiglia. Rimarrò solo per far rispettare le regole».

Ma come? Proprio adesso che alcuni sondaggi lo danno al 26%, a soli tre punti dal Pd in drastico calo di Matteo Renzi? Non è un mistero che, in Sicilia come a Roma, se le attuali giunte Pd cadessero, primo partito diventerebbe il M5s. E nel 2016 si voterà a Milano, Torino, Bologna e Napoli.

Mai le prospettive dei grillini sono apparse così rosee. Il seminario Ambrosetti di Cernobbio ha invitato al suo summit settembrino sul lago di Como il più esagitato dei deputati 5 stelle, Alessandro Di Battista. Che è l’opposto del collega Luigi Di Maio, come stile e contenuti. E se il convegno dei poteri forti italiani prende sul serio Di Battista, nominato per le sue sparate «politico cialtrone dell'anno» dal New York Times, vuol dire che un approdo al governo dei grillini non è più escluso.

«Grillo non si ritira, e nessuno di noi lascerà campo libero a questi delinquenti», taglia corto la senatrice Paola Taverna. Ma, al di là dei proclami, i grillini si sono ammansiti. Sulla Rai, per esempio, hanno compiuto un'inversione a U. Volevano vendere, smembrare, privatizzare il simbolo dell'odiata partitocrazia (tranne un canale per il servizio pubblico). Tutto dimenticato. 
Ora partecipano tranquillamente alla spartizione dei consiglieri d'amministrazione: hanno nominato Claudio Freccero (ex berlusconiano oggi estremista di sinistra) nel posto a loro riservato. Freccero ha ipotizzato un ritorno di Grillo in Rai, come comico. E Grillo non lo ha escluso, anche se lui stesso capisce che è impossibile, finché guida il secondo partito italiano.

«Beppe prenderà piano piano le distanze dal suo movimento, pur rimanendone il guru», prevede Massimo Fini, uno dei rari intellettuali simpatizzanti dei 5 stelle. «Ha speso moltissime energie negli ultimi anni, sua moglie vorrebbe che rallentasse».

Ma i grillini possono andare avanti senza il loro capo assoluto? «No, non riusciranno a scalzare i politici professionisti. Quelli sono troppo abili. Non vedo in giro la capacità di opporsi alla cultura mafiosa e familista prevalente, che vent'anni fa riuscì a neutralizzare la ben più strutturata Lega Nord».

Meno pessimista Fucksia: «Anche se perderemo i connotati iniziali, lasceremo comunque la nostra impronta nel mondo reale. Magari ci trasformeremo, ci riadatteremo, o verremo sostituiti da altri. Ma nei libri di storia Grillo c'è già entrato. E abbiamo indotto al cambiamento gli altri partiti».

Al di là dei proclami e dei sogni, però, ci sono realtà prosaiche. Il reddito di Grillo nel 2014 è calato a 180mila euro rispetto ai 220 mila dell'anno precedente. E per un uomo di spettacolo abituato a guadagnare quattro milioni l'anno riempiendo i palasport, rinunciare al lavoro è difficile.

Stesso discorso per il braccio destro Gianroberto Casaleggio: la sua società è finita in deficit di 150mila euro (su due milioni di fatturato), rispetto all'attivo di 250mila del 2013. Il blog non tira più, e le migliaia di post condivisi su Facebook dagli attivisti non fruttano un centesimo.

Vero è che i 17 eurodeputati incassano 34mila euro mensili ciascuno (promettevano di tenerne solo 2.500), e che le «restituzioni» dei parlamentari nazionali sono sempre più misere, perché spendono i loro 15mila mensili anche per far funzionare il movimento.
Ma l'addio di un quarto dei senatori e di una ventina di deputati si è fatto sentire, riducendo il finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari. Le firme racimolate in sei mesi contro l'euro sono state appena 200mila: meno di quelle raccolte in un solo giorno di Vaffaday nel 2008.
            
Insomma, la struttura è di cartone. Quanto alle idee, appena arriva un problema concreto si sfaldano. Sull'immigrazione, per esempio, il rigore proposto ufficialmente sul blog di Grillo dal consigliere comunale torinese Vittorio Bertola è stato rifiutato dal senatore «aperturista» Maurizio Buccarella. Sul quale però è subito piombata la scomunica di Beppe.

«Ma tutti sappiamo che non è Grillo a gestire il movimento, anche se sette su dieci dei nostri elettori hanno votato lui personalmente, e non il movimento», commenta Ernesto "Tinazzi" Leone, decano scomunicato degli attivisti romani. «Abbiamo tanti leaderini che ormai si esprimono da democristiani, attenti a non rompere delicati equilibri interni».
Mauro Suttora


INVECE QUESTI SONO ETERNI

«Ci vuole un fisico bestiale», cantava Luca Carboni. E per fare il politico necessita anche la tigna di sentirsi indispensabili. Non sono pochi, nel Palazzo, gli ottuagenari che, invece di dedicarsi al golf, resistono ad ogni rottamazione.
 
L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per esempio, ultimamente sta inondando di lettere i principali giornali italiani. Difende la controversa riforma del Senato di Maria Elena Boschi, manco l’avesse scritta lui.

Silvio Berlusconi, che il 29 settembre compie 79 anni, ha fatto fuori tutti i suoi delfini. Per ultimo l’attempato Denis Verdini, che in pratica aveva governato l’Italia con Matteo Renzi dopo il patto del Nazareno del gennaio 2014.

Marco Pannella ha passato come sempre il Ferragosto visitando i carcerati, questa volta nella sua Teramo. Attività nobile, ma allarmante per il presidente Sergio Mattarella che lo implora: «Interrompi il digiuno». In realtà Marco si nutre di melone.

lunedì 10 agosto 2015

La Casaleggio srl perde 150.000 euro

NEL 2014 LA CASALEGGIO ASSOCIATI HA PERSO 152 MILA EURO – COLPA DEL CALO DEI RICAVI, PASSATI DA 2 A 1,5 MILIONI, MENTRE I DEBITI SALGONO A 400 MILA EURO

Novita nell’azionariato, con l’ingresso sul libro soci dei manager Maurizio Benzi e Marco Maiocchi, che hanno rilevato il 7,5% ciascuno. Gianroberto Casaleggio resta il primo azionista con il 30%, insieme al figlio Davide, mentre Luca Eleuteri possiede il 20% e Mario Bucchich è sceso al 5%... -

Proprio mentre imbarca nella sua azienda due nuovi soci, Gianroberto Casaleggio, nume tutelare del Movimento 5 Stelle, archivia un anno contraddistinto da un calo dei ricavi e, soprattutto, dall’affiorare di una perdita. 

La sua società di consulenza strategica Casaleggio Associati, basata a Milano, ha chiuso infatti il 2014 con ricavi diminuiti a 1,5 milioni di euro dagli oltre 2 milioni dell’anno prima, tanto che l’ultima riga del conto economico evidenzia una perdita di 152.000 euro rispetto all’utile di 255.000 euro del 2013. 

“Tale perdita – spiega Casaleggio nella nota integrativa – è da imputare a una diminuzione dei ricavi, mentre il totale dei costi è rimasto pressoché invariato”.
 
L’assemblea della Casaleggio Associati svoltasi qualche giorno fa ha deciso di ripianare il rosso attingendo sia agli utili a nuovo sia alla riserva straordinaria che si riduce a 47.000 euro. 
Nello stato patrimoniale figurano crediti per 489.000 euro, liquidità per soli 4.000 euro e debiti saliti anno su anno da 376.000 a 406.000 euro.

 Casaleggio papà detiene il 30% della società di consulenza, quota identica la possiede il figlio Davide mentre Luca Eleuteri ha il 20% e Mario Bucchich ha ceduto parte del suo 20% ai nuovi manager-soci Maurizio Benzi e Marco Maiocchi che hanno rilevato ciascuno il 7,5%.

venerdì 7 agosto 2015

giovedì 6 agosto 2015

Fenomenologia 5 stelle

Per non pochi grillini, eletti o attivisti dalla vita privata disastrata, il M5s fa le funzioni di club per cuori solitari, o succedaneo della famiglia.

Fornisce scopo, senso, sicurezza, entusiasmo, adrenalina. Nuovi amici, nuova vita, reborn. In loro c'è più tifo sportiv
o o fede religiosa che analisi politica e impegno sociale. Politics meets curva sud.

Tutti i movimenti nascenti sono (stati) così, ma molti grillini - causa ignoranza della storia e inadeguatezza culturale - sono sinceramente convinti di essere i primi, gli originali protagonisti di una rinascita, una palingenesi. Guai osare contestualizzare, relativizzare il loro entusiasmo. 

Sono molto diversi dalla controcultura anni 60 e 70, che cercava e trovava radici in beat ed esistenzialisti anni 50, a dai verdi anni 80 che avevano livelli culturali impensabili oggi. Sono più simili ai leghisti degli anni 90.


Non è psicologismo d'accatto. Migliaia di attivisti hanno questa motivazione privata: sfuggire alla solitudine, sentirsi importanti, far parte di un progetto, scrivere la storia. Alcuni affermano senza scherzare, sfidando il ridicolo: "Salveremo l'Italia". La crociata dei bambini. Il pifferaio di Hamelin.

Il risveglio sarà doloroso, come Syriza in Grecia.

Ora, per esempio, vedo che vanno di moda le t-shirt colorate con slogan del movimento. Una regressione grottesca e penosa, ribelli fuori ma pecore dentro. Conformismi imbarazzanti, con precedenti storici inquietanti (rivoluzione culturale maoista cinese, comunismi, fascismi, altri ismi del secolo scorso). Prove di fanatismo di massa.


Strano che i media e le tante cattedre di sociologia, psicologia sociale e politologia italiane non studino il fenomeno. Ormai c'è un zoccolone duro di migliaia di militanti del M5s, forse decine di migliaia, che vivono in un mondo tutto loro, assolutamente impermeabile alle obiezioni esterne, alle idee diverse, ai contraddittori. 

La Rete, invece di allargare i loro orizzonti, li restringe, perché i dubbiosi vengono "bannati" dalle amicizie e dai gruppi facebook. Impera lo spirito del branco e la legge del gregario. I critici sono espulsi con un clic. 
Se sei stato parlamentare, attivista della prima ora, addirittura candidato 5 stelle alla presidenza del Senato (Orellana) ma poi osi sollevare obiezioni, ancora peggio: diventi un traditore, un "infame". Trotszky.

Ignorano che i brigatisti rossi bollarono con questa tremenda parola il pentito Patrizio Peci, sequestrandone e assassinando nel 1981 per vendetta il fratello operaio innocente.   

"Pour exister, il faut qu'ils se mettent a plusieurs" (J.P.Sartre)

Grillo omologato

articolo del corsera

lunedì 27 luglio 2015

Addio primarie in rete

I Cinque Stelle abbandonano la Rete 

L’ok di Grillo alla lista dei «competenti»


Corriere della sera, Bologna
27 luglio 2015

L’obiettivo è Palazzo d’Accursio dove si voterà l’anno prossimo, il sogno è quello di ripetere il ribaltone di Parma dove Federico Pizzarotti sconfisse il candidato del Pd al ballottaggio. Qui le cose sono più complicate perché Bologna non è Parma e perché non ci sono (fortunatamente) 600 milioni di euro di buco nei bilanci dell’ente. 
Ma inutile girarci intorno: il candidato dei Cinque Stelle al ballottaggio è l’unico che può impensierire i vertici del Pd abituati a governare un territorio dove se si sta fermi e non si fanno particolari danni si vincono le elezioni. E a volte si vincono (vedi vittoria di Merola dopo Delbono) pure se si fanno danni.
Il motivo della paura dei Democratici verso i Cinque Stelle è semplice: un candidato grillino al secondo turno può prendere voti dalla sinistra che non vota il candidato del Pd e pure dal centrodestra che può puntare su un candidato di rottura pur di cambiare aria. La stessa cosa non avviene se il candidato che va al ballottaggio è del centrodestra. 
C’era però un rischio da scongiurare per i Cinque Stelle: evitare di buttare al vento un’altra occasione con la solita scelta dei candidati affidati alla rete che non sempre produce buoni risultati. Il caso delle ultime elezioni regionali è emblematico in questo senso.
Ecco allora che Massimo Bugani e Marco Piazza, i due consiglieri comunali dei Cinque Stelle, hanno chiesto a Beppe Grillo e più in generale al Movimento a Roma di cambiare schema. Si parte con una lista di 36 candidati guidata dai due e costruita interamente dal Movimento bolognese con l’obiettivo di alzare il livello dei candidati e di avere persone preparate. Poi se proprio qualcuno chiederà di far decidere alla Rete su una proposta alternativa lo potrà fare presentando una lista alternativa e a quel punto sarà il popolo grillino a scegliere. 
Ma è evidente che le possibilità che questo accada sono poche e comunque la lista dei consiglieri partirebbe con un netto vantaggio. La finalità è semplice: evitare la solita corsa di infiltrati, gente di altri partiti e avventuristi della ultima ora
Che il tempo della ricreazione sia finito lo si vuole dimostrare proprio a partire dal profilo dei candidati che saranno scelti. I nomi che girano sono quelli degli avvocati Francesca Brugi e Giulio Cristofori, due legali che hanno seguito alcune battaglie del Movimento in questi anni. Poi si fa il nome di Giusi Marziali, storica attivista fin dal 2007 e quello di Gianluigi Alvoni, consigliere al quartiere San Donato ed esperto di mobilità. 
Gli altri candidati saranno scelti da mondi paralleli a quello dei Cinque Stelle con cui il Movimento ha condiviso alcune battaglie: un paio di candidati arriveranno dal mondo della scuola, uno o due dal movimento Agende rosse, uno rappresenterà le associazioni dei disabili. Altri mondi dai quali si attingeranno competenze sono quelli che hanno battagliato per la rimozione dell’amianto e per l’acqua pubblica. 
«Questa volta facciamo sul serio — promette Bugani — e i bolognesi hanno un incredibile occasione se arriviamo al ballottaggio: cambiare aria».
Probabile che Beppe Grillo continui ad essere defilato anche se è possibile che nei prossimi dieci mesi qualche puntata a Bologna, la città dove è iniziato tutto, la faccia. Ma qui arriveranno tutti i big del M5S da Di Maio a Di Battista perché su Bologna l’investimento politico è piuttosto importante. C’è poi un altro aspetto da considerare: ad ottobre ci sarà l’incontro nazionale del Movimento Cinque Stelle a Imola e le chiavi dell’organizzazione dell’evento sono state affidate proprio a Bugani. Il palcoscenico è sicuramente prestigioso e potrebbe essere usato anche per lanciare la lista bolognese dei Cinque Stelle.
Olivio Romanini
27 luglio 2015
© Corriere della Sera - edizione di Bologna

venerdì 8 maggio 2015

Il figlio di Casaleggio: "Non ho ruoli politici nel M5s"

Davide Casaleggio: "Ci siamo preoccupati soprattutto della sicurezza" "Abbiamo definito modi per controllare le varie fasi". Sicurezza. Controllo.

E la democrazia? La trasparenza? Qui si sta parlando del secondo partito politico d'Italia, non di un sito commerciale o di procedure aziendali. Ma lo può capire un bocconiano?

domenica 29 marzo 2015

Illusioni cadute 2 anni dopo

La Rete di Grillo non esiste


(Da Limes 4/2013, pp. 109-115)

Al cuore dell’offerta politica e della «rivoluzione culturale» del MoVimento 5 Stelle c’è una concezione irrealistica della «Rete», usata in modo strumentale dal suo ideologo Gianroberto Casaleggio e dal «garante» Beppe Grillo per dare corpo alla differenza fondamentale che intercorre tra i Cinque Stelle e «i partiti». Ovvero, l’idea che dalla democrazia rappresentativa così come la conosciamo si debba – per uscire dalla crisi istituzionale, economica e sociale in cui ci troviamo – gradualmente approdare a una «iperdemocrazia» basata essenzialmente sull’uso di Internet per sostituire i partiti politici1. E l’articolo 67 della Costituzione, il divieto di mandato imperativo, da mutare in un rapporto di totale «dipendenza» degli eletti (che divengono così meri «portavoce») dagli elettori.

È infatti «alla totalità degli utenti in Rete» (e non dei cittadini) che il «non statuto» – come lo statuto vero e proprio – del M5S riconosce «il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi»; e la sua sede coincide con l’indirizzo web beppegrillo.it. «È la Rete che cambia tutto!», gridava l’ex comico dal palco di Piazza San Giovanni, concludendo trionfalmente lo Tsunami Tour che ha contribuito a portare il M5S al 25,5% dei consensi alle elezioni politiche 2013. Una visione che ben si accorda con quella dei tanti movimenti nati, pur senza accettare la sfida di entrare nelle istituzioni per cambiarle, in tutto il mondo: dagli Indignados a Occupy Wall Street.

A uno sguardo superficiale, i proclami tecno-entusiasti sembrerebbero giustificati. Dal 2005, anno di nascita del blog, a oggi, Grillo è riuscito – grazie alla piattaforma Meetup.com – a dare corpo prima a una moltitudine (gli ultimi dati dicono siano oltre 500 in 381 città di 11 Paesi diversi2) di gruppi locali nati sul web e cresciuti grazie all’interazione con modalità più tradizionali di attivismo politico (gazebo, volantinaggi, incontri, convegni); e poi, dal 2009, a un movimento nazionale vero e proprio, il M5S appunto, capace di passare dal 2-3% degli esordi a sondaggi fino a quasi il 30% dei consensi. Si badi bene, in tutto il Paese, e pescando – pur se maggiormente a sinistra – da tutti i tipi di elettorato3. La soluzione del problema di coordinare i due livelli, locale e nazionale, dipende in buona parte secondo gli attivisti4 da come verrà realizzata ed effettivamente implementata la piattaforma informatica di partecipazione «dal basso» cui i tecnici di Casaleggio stanno lavorando da oltre un anno, e che pare in dirittura d’arrivo.

Ma se la tecnologia gioca un ruolo determinante nell’organizzazione della politica a Cinque Stelle, siamo sicuri sia stata altrettanto importante nel garantirne il successo? I dati provenienti dalle elezioni dello scorso 24 e 25 febbraio sembrano non supportare l’affermazione, che dà il titolo a un’analisi di Casaleggio dopo l’ottimo risultato alle amministrative 2012, per cui «le prossime elezioni si vincono in Rete»5. Prima di tutto, nessuno dei tanti (troppi) analisti dei flussi conversazionali e di presenza sui social media è riuscito a predire il risultato delle urne, né per «i partiti» né per Grillo6.

Si prenda per esempio la mappa delle menzioni su Twitter per Grillo prodotta da Tycho Big Data per La Stampa (lanciata sotto l’ambizioso cappello «perché ha vinto chi vincerà stasera le elezioni»), e la si confronti con quella dei voti realmente ottenuti dal M5S.

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Se in regioni come la Liguria e il Lazio i risultati sembrano sovrapponibili (rispettivamente, il 32,1 e il 28% di preferenze cui si associano una frequenza di menzione «alta» e «molto alta»), altrettanto non si può dire per Marche (32,1% di consensi reali, con picchi del 33,5 a Pesaro e Urbino – ma la frequenza in regione è «bassa»), Friuli (27,2%, frequenza «bassa») e soprattutto Sicilia. Dove, a fronte di una frequenza di menzioni su Twitter «bassa», il M5S ha raccolto il 33,5% dei voti con punte addirittura del 40% a Trapani, del 39,3% a Ragusa e del 37% a Siracusa. Ancora, i dati non si correlano se non marginalmente con la mappa del digital divide7 – cioè la difficoltà di accedere a Internet – nel Paese, che in ogni caso è agli ultimi posti per connettività tra quelli sviluppati.
Difficile dunque spiegare il successo elettorale in termini unicamente dell’uso più o meno «perfetto» di Internet da parte di Grillo e dei suoi. Non a caso, gli analisti più attenti delle cause della loro affermazione dicono altro. Prima di tutto, contrariamente a quanto sostiene Casaleggio, la Rete non sta «sostituendo» gli altri mezzi di comunicazione. Secondo l’istituto Cattaneo, anzi, perfino tra i Cinque Stelle il principale strumento di informazione resta la televisione8.

Ancora, Biorcio e Natale – osservando la lenta ascesa dei consensi del M5S, paragonabile a quella della Lega di Bossi piuttosto che a quella di Forza Italia e Berlusconi – scrivono che «soltanto quando si afferma il tema centrale, la critica feroce alla classe politica (…) inizia realmente l’ascesa». Per precisare poco dopo: «Sono la crisi delle tradizionali forme di partito», giunte dopo l’esperienza del governo Monti ai minimi storici, «e la feroce alterità nei confronti dei politici contemporanei (…) a rimanere i due tasselli fondamentali del successo di Beppe Grillo». Ilvo Diamanti aggiunge: «Il successo del M5S, nell’ultimo anno, dipende, in larga misura, dal sostegno e dal consenso di elettori che non frequentano il suo blog, non partecipano ai Meetup né alle manifestazioni promosse dal leader»9Insomma, se avesse vinto le elezioni «in Rete», non si capisce perché l’abbia fatto solo ora e non già prima. E, soprattutto, non si capisce perché altri partiti presenti in Rete con modalità di coinvolgimento perfino più avanzate di quelle – sostanzialmente ‘broadcast’, unidirezionali – di Grillo10 non ne abbiano beneficiato affatto.

***
Non c’è dunque nessun automatismo nella corrispondenza tra il primato del M5S online e nelle urne. Ma, per capirlo a fondo, bisogna chiedersi: cos’è «la Rete» secondo Grillo e Casaleggio? Dalla lettura del loro vero e proprio manifesto politico, Siamo in guerra (2011, Chiarelettere), emerge la visione di una entità radicalmente rivoluzionaria (la sua comparsa nella storia è un evento unico), dotata di leggi sue proprie, immutabili (a cui le norme sociali – per prime, quelle che regolano la convivenza democratica – devono piegarsi, piuttosto che viceversa), il cui cammino è destinato a portare con sé una promessa millenaristica e salvifica (si vedano i proclami di Casaleggio nel video ‘Gaia: the future of politics’) e, soprattutto, che sta al centro sia della definizione che della soluzione di ogni problema.

Caratteristiche che, utilizzando la terminologia impiegata dallo scienziato politico bielorusso Evgeny Morozov nel recente volume To Save Everything, Click Here (2013, Penguin Books), possono essere definite «epocalismo» (l’idea che Internet rappresenti una rivoluzione «inedita», un primum nella storia umana), «Internet-centrismo» (tutti i problemi vanno definiti e affrontati attraverso Internet) e «soluzionismo» (la convinzione che la politica sia fatta dibug che abbisognano di un aggiustamento, fix, ottenibile – sempre – tramite un numero finito, algoritmico, di passi).

Fare ricorso all’armamentario concettuale di Morozov non è un vezzo accademico, ma il modo per ricondurre l’ideologia di Casaleggio e Grillo a radici che affondano nella storia del pensiero tecnologico e – soprattutto – degli evangelisti e intellettuali di Silicon Valley dell’ultimo ventennio. E, una volta compiuta questa operazione, applicare all’«iperdemocrazia» a Cinque Stelle le critiche che Morozov applica a quella tradizione.
Prima di tutto, per dire che «la Rete» abbia in realtà dato luogo agli stessi (eccessivi) proclami di rivoluzione democratica scaturiti dall’invenzione della stampa, del telefono e della televisione; che non sia dotata di alcuna legge di natura intrinseca e necessaria, come dimostrato dalle aspre battaglie politiche necessarie a mantenerne la regolamentazione a livelli compatibili con la libertà di espressione11; e che decisioni come quella di dare il proprio voto a Pietro Grasso per la presidenza del Senato o affidare la fiducia al Pd nella formazione di un nuovo governo siano tutte politiche, e non certo risolvibili con un algoritmo che esegua la sommatoria di qualche migliaio di click online.

Ancora, per sostenere che «la Rete» di cui parlano i due ideologi del M5S non esiste. E del resto, non è difficile crederlo leggendo alcuni passaggi del già citato Siamo in guerra. La Rete, scrivono i due, «è francescana, anticapitalista» («nel web le idee e la loro condivisione valgono più del denaro»; Mark Zuckerberg annuisce); «permette all’ignaro investitore di comprendere i misteri della Borsa» (sarà per questo che brancoliamo nel buio rispetto a come regolare il trading algoritmico12 e risolvere la crisi economica in atto dal 2008); darà i natali a «nuovi Dostoevskij del digitale», «renderà i politici del futuro più intelligenti», e noi tutti più onesti. Perché «non rubi attraverso la Rete».

Ancora e soprattutto, la Rete «assomiglierà a un genio della lampada che ci risponderà su qualunque argomento». Ed è questo il fulcro del problema qualora si osservi il movimento non come catalizzatore di una protesta diffusa contro i partiti e l’attuale classe dirigente, ma come motore di un cambiamento radicale del nostro sistema istituzionale. È grazie all’«intelligenza collettiva» sviluppata su Internet mettendo in connessione i «terminali» a Cinque Stelle, questa l’idea, che ogni problema trova magicamente soluzione13. Una panacea per ogni male. Le agenzie interinali per collocare i lavoratori che usufruiranno del reddito di cittadinanza propagandato nel programma del M5S? Saranno la Rete, ha detto e ripetuto Grillo nei suoi comizi. Le parti mancanti del programma stesso? Ci pensa la Rete. Allo stesso modo, sarà la Rete a eliminare – pur gradualmente – ogni menzogna e falsità (nel frattempo, si apra la caccia ai ‘troll’, i disturbatori sul blog di Grillo14) e «gran parte delle strutture gerarchiche» che le diffondono. Tra cui, gli odiati giornali, ma anche gli esperti, gli intellettuali e chiunque anteponga sostanzialmente l’«io» al «noi». Nelle parole del neo-eletto Andrea Cioffi all’incontro romano all’Hotel Universo, «dobbiamo demolire il nostro ego per metterlo al servizio dell’Idea complessiva».

‘Internet-centrismo’ e ‘soluzionismo’ allo stato puro, per dirla con Morozov. Che hanno la sgradevole conseguenza di ridurre i cittadini a consumatori (che, come tali, «hanno sempre ragione»), i politici a «dipendenti» costretti a obbedirvi in ogni caso (e se la maggioranza fosse in errore?) e la politica a un contrattare continuo che tuttavia si risolve sempre e necessariamente nella decisione dei pochi che hanno tempo e capacità per stare sempre a contrattare15, e nel «mi piace» tramite referendum istantanei permanenti di tutti gli altri.

Ci sarebbe l’istituto della delega «liquida» che deriva da sistemi informatici come «Liquid Feedback», utilizzato dai Pirati Tedeschi e che consente di affidare e revocare la delega in maniera selettiva e temporanea a seconda dell’argomento trattato. Ma, come ricorda Morozov, siamo sicuri lo sforzo necessario a capire di chi fidarsi sia inferiore rispetto a quello che serve per decidere da sé? E ancora: siamo sicuri che la «democrazia liquida» non dia solamente l’impressione di una maggiore partecipazione alla vita democratica? Dopotutto, alle parlamentarie del M5S hanno preso parte poco più di 32 mila attivisti – quando la base elettorale è di oltre otto milioni di italiani.

Nel movimento si è tanto discusso, e molto si discute, rispetto alla «democrazia interna»; e i critici non mancano di osservare che l’ideale della trasparenza assoluta – incarnato nello streaming, più o meno rispettato, di ogni riunione a contenuto politico del movimento e non solo – è terribilmente controproducente per la natura della politica stessa, che è compromesso e non può fare di un metodo (la trasparenza, appunto) un fine.

 Eppure poco o nulla si discute se, come scrive Riccardo Luna in Cambiamo tutto!, sia vero che «questo dell’intelligenza collettiva non è più solo un mito per tecno-utopisti: è un fatto». E se invece non lo fosse? La domanda è lecita in un Paese in cui un italiano su due non ha letto alcun libro negli ultimi dodici mesi e sette su dieci hanno difficoltà a comprendere un testo di media complessità scritto in lingua italiana.

Ancora, se è in Rete che questa «intelligenza» deve prodursi, va considerato il fatto che l’Italia – come detto – è tra i paesi sviluppati con maggiori problemi in termini non solo di carenze infrastrutturali per accedere a Internet (e come si esprime, nell’«iperdemocrazia», chi non è connesso?), ma anche e soprattutto dove il digital divide si coniuga in termini di deficit culturali e di genere.

Da ultimo, possibile produrre «intelligenza collettiva» nell’ecosistema web che ha in mente Grillo, dove l’anonimato è bandito (le regole per commentare al suo blog lo vietano), migliaia di commenti scompaiono senza capire bene perché e, soprattutto, c’è sempre il rischio che un non ben identificato «staff» equipari un commento critico a «trolling», cioè molestia digitale, e dunque faccia di ogni dissenziente un dissidente a rischio espulsione?

***
Date tutte queste condizioni, l’idea centrale su cui si regge la parte propositiva e di metodo dell’offerta politica del M5S – quella che lo distingue essenzialmente da tutti gli altri, i «partiti» – potrebbe rovesciarsi nel suo opposto, in «demenza collettiva». Un movimento che catalizza il consenso di un italiano su quattro avrebbe il dovere di porre all’ordine del giorno un simile problema, e discuterlo – se davvero crede si tratti di una questione risolvibile con un dibattito collettivo in Rete – proprio sulle piattaforme online che dovrebbero distinguerlo dalla «vecchia» politica.

Se Grillo e Casaleggio hanno ragione, del resto, una risposta – e decisiva – non tarderà ad arrivare. Che non lo facciano rivela un pregiudizio o, peggio, una contraddizione fondamentale: che non basti dotarsi della migliore struttura tecnologica disponibile per produrre idee buone abbastanza da guidare un Paese popoloso e complesso come l’Italia (quali ha prodotto finora?), e che perfino loro lo sospettino.

E del resto, al cuore della critica morozoviana sta proprio l’idea che la politica non debba per forza somigliare alle sue riduzioni tecnologiche, e che la ricerca della perfezione algoritmica nella gestione della cosa pubblica possa addirittura diventare controproducente. Si pensi a quanto affermava Grillo il 25 gennaio 2012: «Io con un click, semplicissimo, decido se fare la guerra o non fare la guerra, se uscire dalla Nato, se essere padroni in casa nostra, se avere una sovranità monetaria, una sovranità economica».

Che si pensi che decisioni simili, le cui conseguenze in termini diacronici non possono essere certo valutate istantaneamente dagli elettori dell’ipotetica «iperdemocrazia» a Cinque Stelle, si prendano premendo un bottone dovrebbe essere sufficiente a farci considerare con maggiore attenzione se il nuovo che avanza sia davvero migliore del vecchio che vogliamo, e dobbiamo, cambiare.


Note:
1 «Quando c’è un partito si instaura la corruzione. Noi vogliamo una cosa nuova. Una ‘iper-democrazia senza i partiti’ con al centro i cittadini. Metteremo in rete tutto. Anche le discussioni del movimento. È difficilissimo lo so ma noi ci vogliamo riuscire» (Beppe Grillo a Sette del Corriere della Sera, 30 maggio 2012).
2 Natale, P. e Biorcio, R., Politica a 5 Stelle, 2013, Feltrinelli.
3 Si vedano in proposito P. Corbetta, E. Gualmini (a cura di), Il partito di Grillo, 2013, il Mulino; l’analisi dei flussi elettorali per le politiche 2013 dell’Istituto Cattaneo; e lo stesso Politica a 5 Stelle.
4 E anche questa è una forma di quello che in seguito definiremo «soluzionismo».
6 Come ho dimostrato in questa analisi per Valigia Bluhttp://www.valigiablu.it/elezioni-2013-non-ha-vinto-internet-abbiamo-perso-noi/
7 http://tg24.sky.it/tg24/economia/mappe/internet_digital_divide_italia.htmlDa cui si evince, per esempio, che in Friuli il digital divide è alto, ma lo sono anche i consensi di Grillo; in Lombardia basso, così come i consensi di Grillo.
8 «Internet è religione nelle parole del Movimento, eppure la televisione è il primo mezzo usato dai grillini», ha detto Elisabetta Gualmini a Huffington Post Italia,http://www.huffingtonpost.it/2013/01/30/beppe-grillo-ricerca-cattaneo_n_2581558.html. Ne Il partito di Grillo, da lei curato, si legge che la televisione è considerata dal 71% degli elettori del M5S tra i «primi due canali di informazione più utilizzati per intenzione di voto».
9 Diamanti, I., Una mappa della crisi della democrazia rappresentativa, inComunicazione Politica, XIII, 1, aprile 2013.
10 Si pensi alla piattaforma collaborativa utilizzata da Scelta Civica di Mario Monti, per esempio, cui ha corrisposto una débâcle– e non un successo – elettorale.
11 Si vedano le campagne di attivismo necessarie a contrastare norme liberticide come le statunitensti SOPA e PIPA, le prime versioni del trattato anticontraffazione ACTA, il nuovo sistema di governance inizialmente proposto da alcuni Paesi in occasione dell’ultima conferenza mondiale delle telecomunicazioni (WCIT) e, in Italia, le polemiche infinite sul cosiddetto «comma ammazzablog».
12 Si veda in proposito Steiner, C., Automate This, 2012, Portfolio.
13 Non a caso i due primi capigruppo a Senato e Camera nei video di auto-candidatura al Parlamento sostenevano: «Il nostro ruolo di portavoce dovrebbe essere quello di farci collettori di una intelligenza collettiva» (Vito Crimi). «La Rete e l’intelligenza collettiva che a essa è sottesa devono formare una nuova idea di stato e di cittadinanza» (Roberta Lombardi).
14 Chiusi, F., Se il troll si nasconde in casa tua, pubblicato sui quotidiani locali del gruppo Espresso il 4 aprile 2013.
15 Le élite «casuali» di cui parla Stefano Rodotà in Tecnopolitica (2004, Laterza). Per un approfondimento sul tema, si legga Formenti, C., Cybersoviet,2008, Raffaello Cortina Editore.
qui la brillante analisi