venerdì 2 dicembre 2016

Devastante

LA STRADA CHE PORTA ALLO SCIOGLIMENTO DEL 5 STELLE

DI ANNALISA CHIRICO
Il Foglio, 1 dicembre 2016

Dietro il gioco di scatole cinesi del partito di Grillo si nasconde un bug che può far saltare l'impalcatura giuridica del Movimento. I regolamenti, le sospensioni, i codici illegittimi. Inchiesta sul prossimo big bang grillino  

Magari fosse soltanto una faccenda di firme. Il M5s ha un bug nel sistema. Un bug gigantesco. In vista delle prossime elezioni politiche si scorgono le prime crepe di una voragine che potrebbe risucchiare, in un colpo solo, l'impalcatura giuridica del movimento fondato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio. Gigante dai piedi d'argilla, il M5s, o meglio i suoi vertici, devono districarsi in un guazzabuglio giuridico puntellato di codici e codicilli, regolamenti, statuti e ricorsi tribunaleschi. 

Una materia delicata, anzi delicatissima, maneggiata finora all'insegna della cautela e della riservatezza, zero streaming, e affiorata sporadicamente sulla stampa per via di un paio di pronunce togate, spia della fragilità costitutiva della struttura pentastellata. Partendo da qui e scavando a fondo tra gli arcana imperii del leader carismatico, artefice di una diarchia fattasi monarchia per la prematura scomparsa di Casaleggio senior, cerchiamo di rispondere al quesito dei quesiti: il movimento per la legalità-tàtà, la rispetta la legge? Ecco che scivola giù il velo dell'ipocrisia, e appare quel che di solito non si vede. 

Ce qu'on voit et ce qu'on ne voit pas, della luna osservi solo un lato. Il "non partito" che urla slogan legalitari nelle piazze fa a pugni con le regole. Man mano che il tempo passa e le responsabilità aumentano e si aggroviglia l'articolato di norme e soggetti giuridici in sovrapposizione cresce l'agitazione dei vertici. Agitazione che diviene palpabile e manifesta quando a settembre il capo politico sottopone agli iscritti, per la ratifica, il Non Sta tuto "in versione corretta" insieme a un Regolamento nuovo di zecca. Bisogna correre ai ripari, e in fretta. Il M5s ha un gigantesco bug nel sistema. 

"Non è importante solo cosa sceglierai ma anche in quanti avranno partecipato a questo voto. Più saranno i votanti e meglio il Movimento potrà difendersi dagli attacchi che sicuramente arriveranno. Con il Movimento stiamo facendo una nuova giurisprudenza politica. A seconda che siano sopra un terzo, sopra la metà, sopra i tré quarti o addirittura la totalità degli iscritti, maggiori saranno le nostre difese dagli attacchi giudiziari e politici". 
A parlare così, con i toni della berlusconeide stellata, è Davide Casaleggio in un post del 25 ottobre. Da quasi un mese è in corso la consultazione online su Statuto e Regolamento, già a luglio Grillo annuncia il voto ma poi rinvia inaspettatamente di una settimana "per soddisfare - scrive - le ultime richieste di certificazione pervenute e permettere la massima partecipazione degli iscritti". 

Qualche attivista protesta perché il capo indice il voto, cambia e ricambia la data, ma sui testi oggetto della consultazione regna il mistero (l'iscritto può approvare come con un like o dislike su Facebook, proporre emendamenti o mozioni alternative non è ammesso). "Possiamo votare delle nuove regole a scatola chiusa?", insinua qualcuno sul blog delle Stelle. "Spero che il nuovo Non Statuto contempli il diritto di esistere del dissenso, altrimenti sarà nuovamente carta straccia", commenta un altro. "Ditemi che sto sognando, altrimenti devo essere così lontano da una certa cultura che si basa solo sull'ubbidienza assoluta. Neanche nel Kgb sono mai esistiti metodi così irrispettosi della democrazia", infierisce un utente. 

Il clima è teso. Gli iscritti sono chiamati a votare, contestualmente, l'integrazione del Non Statuto con due versioni alternative di Regolamento. Al momento del voto, anzi del clic, l'iscritto non conosce i dettagli normativi. "Uno vale uno ma poi decidono sempre gli stessi. Vorrei esser stato maggiormente coinvolto nelle discussioni di modifica", lamenta un attivista. Chi ha scritto i testi posti in votazione? Si presume che la fonte primigenia sia Grillo in persona insieme ai legali fidati e a Casaleggio jr., con un coinvolgimento snello dei cinque membri del Direttorio (abolito d'imperio lo scorso 11 novembre con dichiarazione di Grillo a Euronews: "II Direttorio non esiste più", saluti a tutti). "Purtroppo anche queste votazioni saranno prive di alcun valore legale, perché non verificabili in alcun modo - scrive Fabio di Napoli - Oltretutto non si capisce sulla base di cosa si sia chiamati a votare modifiche non si sa da chi proposte. Questa votazione verrà probabilmente impugnata e anche su questa un giudice si esprimerà sconfessandola". 

Di rinvio in rinvio, la fatidica votazione slitta al 25 settembre. La procedura si chiude alle ore 21 del 26 ottobre. Le ore passano e i risultati restano ignoti, la spiegazione ufficiale è che un ente esterno, la DNV GL Business Assurance, incaricato dall'Associazione Rousseau (leggi Casaleggio jr.), procede alla "verifica del processo di voto". Nell'attesa, Roberta Lombardi è l'unica a rilasciare una dichiarazione: "Vedremo cosa succederà in tribunale se le nuove regole non dovessero passare. Finora i giudici non sono entrati molto nel merito". 

L'incubo è che non si raggiunga il quorum del 75 per cento di iscritti. Il 28 ottobre, due giorni dopo la chiusura del voto, i dati sono pubblicati online: il quorum non c'è. Nonostante il dispiegamento di appelli, post e sms per incitare ogni iscritto a votare, la partecipazione si ferma sotto il 65 per cento. Votano in 87.213 su un totale di 135.023 iscritti, la soglia minima è pari a 101 mila. Tuttavia, la maggioranza dei voti espressi è favorevole alle modifiche calate dall'alto. In particolare, sul primo quesito: "Sei d'accordo nel modificare il Non Statuto con il nuo vo testo aggiornato proposto?", risultane espressi 86.228 voti totali, suddivisi in 79.000 Sì e 7.221 no. Sul secondo quesito, "Sei d'accordo nel modificare il Regolamento ñîÿ una delle due versioni aggiornate propo ste?', risultano espressi 82.659 voti totali suddivisi in 75.947 favorevoli e 6.712 contrari. 

 Sul terzo quesito - "Nel caso che si proceda alla modifica del Regolamento, quale delle due opzioni preferiresti?" - risultano espressi 82.606 voti totali suddivisi in 61.071 preferenze per l'opzione "Preferisco la versione CON le espulsioni' e 21.535 preferenze per l'opzione Preferisco la versione SENZA espulsioni'. La stragrande maggioranza dei votanti segue le indicazioni del capo politico. Grazie agli 87.213 iscritti che hanno partecipato alla votazione - esulta Grillo sul blog - avete permesso al Movimento 5 Stelle di raggiungere quello che probabilmente è il record mondiale di partecipanti a una votazione online per una forza politica o un'associazione. Mai così tante persone si sono potute esprimere direttamente sul futuro della comunità di cui fanno parte". 

Quando si dice badare alla sostanza. La legge fissa un quorum. Il M5S snobba il quorum. Processi, burocrazie, codici e codicilli non possono fermarci perché siamo uniti e compatti verso lo stesso obiettivo. Il Movimento 5 Stelle trova difficoltà a essere riconosciuto dalle leggi attuali perché la sua struttura e organizzazione è molto più innovativa e avanzata di quelle regolamentate dai codici. Proprio per questo il nostro caso è destinato a fare giurisprudenza", scrive Grillo evocando la stessa "giurisprudenza politica" già citata da Casaleggio jr. contro gli attacchi giudiziari e politici. "Il Movimento non è una questione di scartoffie da azzeccagarbugli ma una forza politica che cresce da sola", gli fa eco Luigi Di Maio. Il quorum non c'è ma chi se ne importa. Per gli incorruttìbili paladini della legalità, talebani della Costituzione e urlatori di onestà-tà-tà, l'obbligo di legge si riduce a orpello formalistico, quisquilie di nessun conto, pedanteria da legulei. Il regolamento voluto dal capo, contenente il nuovo procedimento per le espulsioni, non passa, il quorum non c'è, ma in fondo che importa? Nel groviglio di statuti e non statuti, associazioni giustapposte, ordinanze e ricorsi, il bandolo della matassa sembra smarrito. Il blackout dello streaming è un effetto collaterale del new deal stellato all'insegna della sfacciataggine procedurale.
Per maneggiare il delicato dossier, si tengono interminabili riunioni con gli avvocati, il commercialista e pochi fidati, tra le quattro mura della Casaleggio associati in via Gerolamo Morone a Milano. 

L'imbroglio della firma. 
Vera, anzi falsa, in realtà copiata, forse ricopiata. Intransigenti con gli altri e indulgenti con se stessi. Rampognatori delle malefatte altrui, insabbiatori delle proprie. Si sa, la verginità, una volta perduta, non torna. E la parola legalità, brandita come arma contundente nei confronti del nemico, potrebbe ritorcersi contro i Savonarola contemporanei. Sulle prime, la difesa di Grillo è esilarante: "La firma falsa non è una firma falsa, è una firma copiata. E' l'Oscar della stupidità. Noi, se siamo non disonesti, non riusciamo neanche a essere disonesti". 

Che dire, ci abbiamo provato senza riuscirvi. Nei confronti dei grillini palermitani destinatari dell'avviso di garanzia non viene immediatamente applicata la procedura prevista dal nuovo regolamento, entrato in vigore (seppur di quorum sprovvisto) con proclama solenne del líder máximo. Quando la notizia impazza sui giornali, Grillo esprime un cordiale invito all'autosospensione. Eppure, per gli standard grillini fondati sulla presunzione di colpevolezza, gli estremi per obbligare gli indagati al passo indietro ci sarebbero tutti. I bene informati raccontano che il timore di una nuova impugnazione (dopo l'ordinanza partenopea di cui parleremo a breve), con conseguente pronuncia di illegittimità del regolamento, induca Grillo e Casaleggio a prendere tempo. 

La procedura designata dai vertici e approvata plebiscitariamente online prevede che il gestore del sito possa rivolgere contestazioni formali a un iscritto mediante l'invio di un'email da parte di una entità eterea ma onnipresente denominata staff. Entro dieci giorni l'iscritto può presentare eventuali controdeduzioni dandone comunicazione al collegio dei probiviri il quale, verifìcata la sussistenza dei requisiti d'iscrizione, decide in merito all'espulsione. La decisione del collegio dei probiviri sulla carenza dei requisiti di iscrizione è inappellabile. Negli altri casi, avverso l'atto di espulsione, il soggetto può ricorrere al comitato d'appello. 

Da qualche giorno il collegio dei probiviri esiste, è stato nominato. Secondo voi, gli iscritti si sono forse potuti candidare per diventarne membri? O hanno potuto esprimere una preferenza tra diverse alternative? Non scherziamo. Nel movimento della democrazia orizzontale, dell'uno vale uno, uno soltanto, Beppe Grillo, si suppone in postura verticale, presenta un pacchetto chiuso, take it or leave it, e dall'alto della sua magnanimità peronista domanda agli iscritti: volete voi approvare il comitato d'appello composto dai parlamentari Paola Carinelli, Nunzia Catalfo e Riccardo Fraccaro? Un'orgia democratica, altroché. 

"Con Gianroberto non lo avrebbero mai fatto, li avrebbe messi fuori da un pezzo e sarebbe bastata la prima telefonata di Milano a ridurli a più miti consigli", un deputato grillino, dietro richiesta di anonimato, si lamenta dell'atteggiamento soft verso gli indagati siciliani che non si sono ancora autosospesi. Beppe è troppo buono. Gianroberto lo era, ma era anche inflessibile. Quando si trattava di regole, diventava il cavaliere nero. Se ne sarebbe accorta anche Virginia Raggi, se lui fosse ancora qui". Chissà come avrebbe reagito Casaleggio se nel corso del corteo grillino per il No al referendum fosse capitombolato in una buca lungo la via Ostiense, poco prima della Piramide Cestia. E' accaduto a Grillo lo scorso 26 novembre, e il comico genovese, dopo essersi rialzato, ha domandato: "Le buche nelle strade le vogliamo mettere a posto? Chi è che le deve mettere a posto?". 

Di Movimento 5 Stelle ce n'è uno, anzi due. I soggetti giuridici gravitanti nell'orbita grillina, satelliti di un unico Re sole, Beppe Grillo, sono diversi: esiste l'associazione Rousseau, il gioiellino di Casaleggio jr. che governa la piattaforma web dell'organizzazione. Dal 2015 il Comitato promotore Italia 5 Stelle raccoglie i fondi e organizza le kermesse annuali. Il pasticciaccio grillino, quello che fa tremare dalle fondamenta l'impalcatura giuridica pentastellata, è legato alla doppia entità, Movimento 5 stelle e Movimento 5 Stelle. Nel carattere di una lettera, la 'v' di Vaffa, si annida un equivoco sostanziale. 2009. anno di nascita del Movimento 5 Stelle. L'atto costitutivo è il famigerato "Non Statuto" che all'articolo uno recita testualmente: "II Movimento 5 Stelle è una non associazione. Rappresenta una piattaforma e un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel sito www.movimento5stelle.it". L'obiettivo è "raccogliere l'esperienza maturata nell'ambito del blog www.beppegrillo.it, dei meet-up, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle Liste Civiche Certificate" per "la selezione, individuazione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo". Camera, Senato, Consigli regionali e comunali: lo scopo esplicito è aprire le istituzioni "come una scatoletta di tonno". 

Secondo i dati forniti dal movimento, circa 135 mila attivisti sono iscritti al soggetto giuridico con la V maiuscola. 14 dicembre 2012. Alla presenza del notaio Filippo D'Amore, il signor Beppe Grillo, il di lui nipote e avvocato Enrico Grillo, e il commercialista Enrico Maria Nadasi fondano l'associazione denomina- ta "Movimento 5 Stelle", con la v minuscola e sede in via Roccatagliata Ceccardi a Genova. Lo sdoppiamento è avvenuto: da una parte, c'è il movimento con la V maiuscola e la massa di iscritti; dall'altra, c'è la cabina di regia, il movimento con la V minuscola che tiene saldamente la barra di comando attraverso una entità giuridica distinta. Da un verbale si evince che il 29 aprile 2014 i tre soci si riuniscono per approvare il rendiconto, e a quell'assemblea partecipa per la prima volta Gianroberto Casaleggio in qualità di (quarto) socio. 

Nell'autunno 2015 Grillo trasferisce al movimento con la v minuscola la proprietà del simbolo ("così definito: linea di circonferenza color rosso, recante al proprio interno, nella metà superiore del campo, in carattere nero su fondo bianco, la dicitura MOVIMENTO, la cui lettera V è scritta in rosso con carattere di fantasia..."). Inoltre, con un'accorta operazione di maquillage, il nome della miniassociazione, a 4 soci, assume la v maiuscola in modo da confondersi ancor meglio con la maxiassociazione. Un "sistema a scatole cinesi", spiega un bene informato, che garantisce a Grillo massima libertà di manovra per effettuare espulsioni e compiere scelte strategiche in vista delle elezioni politiche. Tutto fila liscio fin quando due tribunali, a Roma e a Napoli, pongono sotto la lente d'ingrandimento la "non associazione" che una volta era una, poi raddoppiò. 

Roma. Paolo Palleschi è uno dei tre ricorrenti in giudizio contro l'espulsione dal M5S. "Ho iniziato a frequentare il meetup del quartiere Trieste nell'estate 2012. Avrei voluto candidarmi alle amministrative ma io, insieme ad altri, fummo emarginati e arbitrariamente esclusi dalle liste. Da qui la decisione di far valere i nostri diritti in tribunale". Palleschi è un avvocato penalista che non sbaglia i congiuntivi, militanza giovanile nel Fronte della gioventù. Da come parla, s'intuisce subito che lei ha poco da spartire con l'ala movimentista (eufemismo) di Paola Taverna, quella ad oggi maggioritaria nella capitale. "Potrebbe essere una lettura attendibile... Da un giorno all'altro mi sono visto recapitare un'email dello staff che m'informava della mia esclusione dalle consultazioni online per la designazione del candidato sindaco, senza specificare i motivi. Dopo la pronuncia favorevole del tribunale, sono stato reintegrato con una nuova email che mi restituiva le credenziali d'accesso al sito web". 

Lo scorso 12 aprile il Tribunale civile di Roma dichiara illegittimo il provvedimento di espulsione di Palleschi, Roberto Motta e Antonio Caracciolo, tutti esclusi dalle "comunarie" capitoline. Nell'ordinanza cautelare il giudice evidenzia la distinzione tra l'associazione con la V maiuscola del 2009 e quella con la v minuscola del 2012. Al di là delle affermazioni di principio (il M5S, si legge sul sito, sarebbe una "non associazione"), la configurazione giuridica del movimento è quella di "una associazione non riconosciuta al pari dei tradizionali partiti politici (art. 49 della Costituzione sulla libertà di associazione politica) per cui vanno applicate le relative disposizioni del Codice civile: pacificamente per le associazioni non riconosciute valgono le stesse disposizioni codicistiche previste per le associazioni riconosciute". 
Quanto ai rapporti tra i due soggetti, "si è in presenza di due realtà diverse ed intersecantesi dal punto di vista soggettivo nella misura in cui gli aderenti al Movimento 5 Stelle aderiscano, a domanda, all'associazione Movimento 5 Stelle". In particolare, l'associazione con la v minuscola ha come suo compito "lo svolgimento degli adempimenti tecnico-burocratici per consentire la partecipazione alle elezioni politiche dei candidati scelti in Rete dagli aderenti al Movimento 5 Stelle". 

I ricorrenti però risultano iscritti all'associazione del 2009. In giudizio Grillo e sodali si costituiscono con l'associazione del 2012, si presume nel vano tentativo di radicare la competenza territoriale a Genova e non nella capitale. Inoltre il giudice, nella stessa ordinanza che sancisce l'illegittimità dell'espulsione, pone l'accento sulla persistenza giuridica del Non Statuto e del movimento del 2009, anche a seguito della più recente costituzione della miniassociazione. Il Regolamento del 2014, in forza del quale Grillo procede all'espulsione dei ricorrenti romani, fa capo al Movimento 5 stelle con la v minuscola, la miniassociazione ben distinta da quella maxi fondata sul Non Statuto del 2009. Grillo può forse pretendere di espellere gli iscritti all'associazione A appellandosi alle norme dell'associazione B? Non può, soprattutto se, come vedremo, quelle norme sono da ritenersi nulle. 

All'indomani dell'ordinanza cautelare a lui favorevole, Palleschi usa toni duri: "Dal punto di vista politico, è ingiusto andare avanti con Raggi quando alcune persone sono state ingiustamente fatte fuori dalla corsa". Oggi, invece, mostra un atteggiamento più conciliante. Quando gli chiediamo perché si sia ritirato dal giudizio, dopo che il movimento l'ha accusato di filoleghismo in salsa capitolina, Palleschi si schermisce: "Ho un vincolo contrattuale, ho chiuso un accordo transattivo. Le con- siglio di parlare con il mio avvocato". Mi scusi, mi sta dicendo che lei ha ottenuto dei soldi per uscire dal processo? "Guardi, le mando il numero del legale". 

Chiamiamo l'avvocato, Lorenzo Borré, pure lui romano, ex grillino deluso dal cedimento "su alcune questioni eticamente divisive, come le unioni gay, la maternità surrogata, le aggravanti omofobiche, l'adozione del figlio del partner... materie che non erano nel nostro programma e sulle quali i gruppi parlamentari hanno agito in proprio senza coinvolgere la base". Esistono pure i cattogrillini. "Io mi sono iscritto a un movimento orizzontale. Ricordo le dichiarazioni di Di Maio che adombravano il pieno appoggio del gruppo al ddl Cirinnà. Provai a dire la mia sul web, a contattare qualche parlamentare in virtù del concetto di "portavoce", ma niente. Inviai un'email ad Alessandro di Battista: mi rispose che non seguiva la faccenda. Il giorno dopo, guardando il tg, lo vidi mentre in Parlamento inscenava la protesta baciando i colleghi per dire sì al ddl sull'omofobia. Mi aveva preso in giro". 

S'intuisce che pure Borré, emarginato dai romani, abbia poco da spartire con la corrente della Taverna. Lui è un uomo di legge, attualmente segue tutti i ricorsi pendenti in Italia da parte di ex attivisti grillini che si ritengono ingiustamente espulsi. Anzitutto, avvocato, Grillo&Casaleggio hanno pagato l'uscita di Palleschi dal processo? "Vige una clausola assoluta di riservatezza. Non posso ne confermare ne smentire". 

Il colpo più duro, forse letale, al castello giuridico pentastellato risale allo scorso luglio. A Napoli un drappello di grillim espulsi, ben 23, è ricorso in giudizio. Il tribunale partenopeo emette un'ordinanza cautelare che, come a Roma, riammette gli espulsi, e inoltre dichiara la nullità del regolamento varato il 23 dicembre 2014 dalla miniassociazione. 

I grillini napoletani, al pari di tutti gli attivisti nel resto d'Italia, sono iscritti al soggetto giuridico del 2009, regolato dal Non Statuto, che ad oggi rimane l'unico atto giuridicamente vincolante nell'universo grillino. Il regolamento successivo "si considera nullo - scrive il giudice - perché si configura come una modifica del Non Statuto dell'associazione originaria, modifica che, in assenza di diverse prescrizioni, secondo il Codice civile, richiede un voto dell'assemblea dei soci". 

Voto che non c'è mai stato, l'assemblea non si è mai riunita. Inoltre, "nonostante il movimento 5 Selle nel suo statuto non si definisca partito politico, e anzi escluda di esserlo, di fatto ogni associazione con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale si può definire partito ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione". E perciò deve garantire il diritto al dissenso interno. 

Il regolamento che Grillo e Casaleggio intendono imporre contiene la procedura più severa per le espulsioni. E' pubblicato per la prima volta il 23 dicembre 2014 in un post sul sito beppegrillo.it. Il messaggio del capo politico si apre cosi: "II M5S è obbligato a depositare un Regolamento che ne attesti alcune modalità operative in particolare con riferimento alla cosiddetta democrazia intema (molte già esistenti) entro il 28 dicembre 2014. Non ottemperarvi potrebbe portare a contestazioni sulla possibile partecipazione a elezioni politiche. Il Regolamento è leggibile nella sua interezza qui". 

Stop. Chi ha redatto il testo? Il vertice. E' possibile proporre emendamenti? No. Su questo punto il Tribunale di Napoli, che si limita a un controllo di legalità formale (il giudizio di merito prosegue regolarmente), evidenzia che nei casi di associazioni non riconosciute si applica, per analogia con quelle riconosciute, l'articolo 21 del Codice civile. E l'articolo 21, croce e delizia, recita testualmente: "Per modificare l'atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tré quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti". 

Devil is in the detail. La partecipazione alla consultazione online sul Regolamento non ha raggiunto il 65 percento degli aventi diritto, ne consegue che esso sia da considerarsi nullo. Il Regolamento, scrive il giudice, non si pone come "fonte equiordinata allo statuto", e non essendo stato adottato col metodo assembleare e con le maggioranze previste per le modificazioni dello statuto originario, "non appare essere una fonte idonea a porre le norme procedimentali e i casi di esclusione degli associati". 

Allo stato attuale, l'unico atto giuridicamente vincolante è il Non Statuto che, "al netto di efficaci artifìci dialettici che rientrano nella propaganda politica, altro non è che, giuridicamente, uno statuto". Esso non contiene neppure norme derogatorie rispetto a un altro articolo che Grillo trascura e Di Maio liquida come materia per azzeccagaburgli: l'articolo 24 del Codice civile, legge vigente in Italia, stabilisce che "l'esclusione di un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi".

Ne consegue che "deve ritenersi indiziata d'illegittimità la determinazione dell'espulsione degli odierni re- clamanti adottata dallo staff di Beppe Grillo sulla base del citato Regolamento del 2014". In ultimo, sospendendo in via cautelare i provvedimenti di espulsione nelle more del giudizio di merito, il giudice ribadisce che "nonostante il Movimento 5 Stelle nel suo statuto (Non Statuto) non si definisca partito politico, ed anzi escluda di esserlo, di fatto ogni associazione con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale si può definire partito". 

Luca Capriello, classe 1982, grillino partenopeo della prima ora, avvocato penalista con lo scilinguagnolo sciolto. Pure lui un bei giorno si vede recapitare dal famigerato staff l'email delle disgrazie, preludio all'espulsione. Nel capoluogo campano, terreno di scontro tra i "movimentisti" di Roberto Fico e gli "istituzionali" di Di Maio (analogo schema capitolino), Capriello non sta ne con gli uni ne con gli altri, così finisce epurato. "Ho cominciato ad animare il meetup di Napoli quando avevamo un consenso da prefìsso telefonico", si racconta al Foglio. "Ho assistito da dentro alla trasformazione del movimento: sopra il palco ripetevamo uno vale uno, sotto il palco si moltiplicavano i cosiddetti portavoce, vale a dire i referenti di Grillo sul territorio. Costoro, per accrescere il prestigio personale e ottenere la ricandidatura, hanno decapitato le teste pensanti cooptando gran parte della base mediante il conferimento di in carichi istituzionali, come portaborse, assistenti regionali o parlamentari. Sono diventati capibastone con un seguito di lacchè stipendiati. Hanno tradito il concetto di cittadinanza attiva". 

Lei sembra sinceramente amareggiato. 
"Io sono gonfio di amarezza, ci crede? Abbiamo creato una pagina Facebook per chiedere a Grillo di convocare un'assemblea nazionale. Noi vogliamo democratizzare il movimento, non abbatterlo". 
In quanti siete? 
"Al momento siamo un migliaio. Dopo l'espulsione, molti si sono ritirati a vita privata. La parentopoli grillina li ha delusi". 
Per "parentopoli grillina" s'intende la pletora di mogli, fidanzati e parenti premiati con incarichi e ruoli, strapuntini a reddito variabile ma garantito, in un pittoresco mosaico di intrecci familistici scoperchiato dalla stampa. "Neanche i partiti della prima Repubblica erano così sfacciati. Il problema del movimento però è un altro". 

La ascolto. 
"Siamo una delle prime forze politiche del paese. Se dovessimo andare al governo, sarebbe un pericolo per l'Italia. Il M5S racchiude il peggio di Forza Italia (Grillo è proprietario del logo, come Berlusconi) e il peggio del Pd (siamo attraversati da un correntismo esasperato). L'intuizione originaria è stata tradita. Una struttura iperverticistica che ricorre alla Rete solo per ratificare decisioni prese altrove non è democrazia orizzontale. E' plebiscito. Le consultazioni online propongono domande preconfezionate che suggeriscono la risposta già nel quesito. E' un meccanismo subdolo". 

Anche se l'identità di Beatrice di Maio, l'account twittarolo che tacciava di mafiosità il sottosegretario Luca Lotti, e non solo lui, è stata rivendicata dalla coniuge di Renato Brunetta, è acclarato che in Rete si dispiegano diverse tecniche manipolatorie ai fini di cyberpropaganda. Troll, fake, algoritmi, account ad hoc per propagare il messaggio pentastellato a colpi di rutti e ingiurie. "Online nulla è come appare. I dati relativi alle votazioni li comunica il movimento, manca un ente terzo veramente indipendente".

 Lei sembra un invasato della democrazia diretta, con tutto il rispetto. 
"Il voto dovrebbe essere solo il momento finale. L'elemento costitutivo della democrazia orizzontale è il dibattito che nel M5S resta il grande assente. Abbiamo tradito il programma. Non parliamo più dell'uscita dalla Nato e dall'Ue, se non blandamente. Questi erano i punti qualificanti della piattaforma politica sulla quale abbiamo raccolto quasi dieci milioni di voti nel 2013".

Ma perché lei è stato espulso? 
"Non mi sono piegato alla scelta tra Fico e Di Maio, e sono rimasto isolato. I fichiani sono i talebani del movimento, pretendono il rispetto assoluto di regole che loro stessi violano. Quelli di Di Maio invece sono gli istituzionali, i più clientelari, si sono arricchiti tra incarichi e prebende varie, non a caso sono cresciuti di più numericamente".

Nel suo caso, la rottura risale alle amministrative. 
"Nell'ottobre 2015 proponiamo un dibattito pubblico per discutere le regole delle comunarie per la formazione delle liste. Il nostro interlocutore è Fico, fondatore del meetup di Napoli e membro del Direttorio. Alle nostre richieste lui fa le orecchie da mercante, hanno già deciso altrove. Se avessimo votato in assemblea, sarei stato io il candidato sindaco. A Torino Chiara Appendino è stata scelta da un'assemblea. Non avendo un membro locale del Direttorio, i torinesi hanno avuto un margine di manovra maggiore". 

Lei è tra i fondatori di Napoli Libera in Movimento. 
"Per paradosso, il movimento nato in Rete e per la Rete ci contesta l'apertura di una pagina Facebook. Noi abbiamo reagito portandoli in tribunale e abbiamo avuto ragione. Il movimento si è sgretolato giuridicamente. L'ordinanza napoletana è una bomba. E' la presa della Bastiglia. Non si comprende, in punto di diritto, come possano i tre membri della miniassociazione considerarsi partito politico e presentare alle elezioni soltanto candidati non iscritti alla medesima associazione. Ne si comprende come possano procedere all'espulsione degli iscritti a un'associazione distinta, per giunta sulla base di un regolamento nullo, privo di efficacia, adottato in violazione del Codice civile. Non bisogna avere una laurea m legge per rendersi conto del big bang interno...". 

Lei sa che non sarà mai riaccolto nel movimento. 
"Io non ho bisogno della politica per vivere. Ho un mestiere che mi permette di vivere dignitosamente. Non ho bisogno di essere assunto dalla prima azienda del paese che non ha conosciuto crisi e ha visto aumentare il proprio fatturato: la politica". 

Perché si è iscritto al M5S? 
"Abbiamo portato Internet dentro la politica, un fatto rivoluzionario, ma il M5S deve cambiare. L'uso delle nuove tecnologie è come un coltello: può servire a spalmare la marmellata o a uccidere. Allo stato attuale, il movimento usa il web come sfogatoio e luogo di ratifica plebiscitaria delle decisioni assunte dal capo. C'è la Casaleggio Associati, una srl, che eterodirige un gruppo parlamentare. C'è il rischio di appaltare le scelte di politica estera a una società privata che persegue i suoi fini. C'è una comunità politica le cui posizioni apicali non sono contendibili. Siamo la prima forza politica del paese, e questo comporta una responsabilità. Se domani andassimo al governo, con questa cabina di regia e il bando totale del dissenso intemo, saremmo un pericolo per l'Italia". 

Il M5S ha un bug nel sistema. Ce n'è uno di movimento, anzi due, questione di minuscole. I soci dell'uno pretendono di espellere gli iscritti all'altro, e per domare il dissenso con metodi spicci e lapidari si approva un Regolamento in barba al Codice civile. "Siamo oltre il quorum", sentenzia il leader del movimento per la legalità-tà-tà, lo stesso che applica ostinatamente un set di norme nulle per pronuncia tribunalizia. Il Regolamento sarebbe un "passaggio obbligato" per la presentazione delle liste alle elezioni politiche. Che cosa prevede? 

Lo statuto del Pcus, al confronto, disegna un paradiso libertario. In esso si dettaglia la procedura per le espulsioni già riassunta nei vari passaggi, ma la vera ciliegina, la chicca super sexy, sono le cause di espulsione. Si può essere espulsi, per esempio, "se sottoposti a procedimento disciplinare, si rilascino dichiarazioni pubbliche relative al procedimento medesimo". L'espulsione può essere irrogata nel caso in cui si violi l'obbligo "di astenersi da comportamenti suscettibili di pregiudicare l'immagine o l'azione politica del Movimento 5 Stelle o di avvantaggiare altri partiti", o quello "di attenersi a lealtà e correttezza nei confronti degli altri iscritti e portavoce". Previsioni così congegnate potrebbero essere impugnate?

 "Certo che sì - risponde l'avvocato Borré, il burattinaio dei ricorsi giudiziari contro Grillo&co. - II divieto di rilasciare dichiarazioni pubbliche imposto a una persona cui siano state mosse contestazioni presenta un profilo di nullità in quanto viola l'articolo 21 della Costituzione. Se la norma fosse impugnata, qualsiasi tribunale ne dichiarerebbe l'illegittimità. Quanto ai comportamenti lesivi dell'immagine pubblica del movimento, la norma non sta in piedi sul piano giuridico perché la fattispecie deve essere tipizzata, e questa non lo è. Nella sua vaghezza essa consente all'interprete di irrogare espulsioni per i comportamenti più disparati". 

Oltre a statuti e regolamenti, c'è un altro atto che potrebbe essere impugnato, chissà con quale esito: il Codice di condotta per candidati ed eletti. Il tema è affiorato a proposito della clausola sottoscritta, oltre che dai consiglieri comunali, anche dal sindaco Virginia Raggi il cui rapporto con i vertici è notoriamente ondivago. Si tratta di un contratto vero e proprio utilizzato in occasione delle amministrative 2016 a Roma, non a Torino. 

Secondo i bene informati, Casaleggio aveva colto le prime avvisaglie del possibile marasma capitolino e il rischio di deriva "pizzarottiana" per la candidata prescelta a Roma. Il Codice di condotta fissa i paletti all'azione amministrativa: le nomine "dei collaboratori delle strutture di diretta collaborazione o dei collaboratori dovranno essere preventivamente approvate a cura dello staff coordinato dai garanti del M5S" e "le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse vanno sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff". 

Nel paragrafo dedicato alle "Sanzioni" si legge che il sindaco, ciascun assessore e ciascun consigliere assume l'"impegno etico di dimettersi" se condannato anche solo in primo grado, o anche qualora venga iscritto nel registro degli indagati e la maggioranza degli iscritti al M5S mediante consultazione in rete ovvero i garanti del Movimento decidano per tale soluzione "nel superiore interesse della preservazione dell'integrità del Movimento 5 Stelle". 

Com'è noto, da diversi mesi l'assessora all'Ambiente Paola Muraro è indagata per abuso d'ufficio e violazioni ambientali, eppure non molla l'incarico. Le regole, che il capo si ostina a considerare in vigore a dispetto della pronuncia del giudice, le imporrebbero un passo indietro, ma Grillo la tiene lì. Lo stesso Di Maio, pubblicamente sbugiardato a causa della fuoriuscita di un'email del 5 agosto inviatagli dalla Taverna che lo informava dell'indagine in corso a carico dell'assessora, viene colto in flagranza (sapevi e non potevi non sapere, caro Luigino). Eppure nessuno gli oppone il cavillo del danno d'immagine, neppure un richiamo. Di Maio è perdonato. 

Stando al Codice di condotta, il candidato che violi i principi e l'impegno etico alle dimissioni ha l'obbligo di risarcire il movimento con una somma di "almeno 150 mila euro". "È una clausola capestro giuridicamente illecita - commenta tranchant il principe del foro Titta Madia, cassazionista di lungo corso - Lo Statuto del partito può legittimamente pretendere, senza necessità di un contratto, che l'eletto rispetti i programmi, le idee, le direttive impartite da quella associazione. Ma la sanzione per l'inottemperanza consiste solo nell'esclusione dal partito o dal movimento. Non è possibile ipotizzare una sorta di risarcimento danni, ovvero un indennizzo o qualsiasi altra forma di sanzione pecuniaria per la violazione delle regole e delle direttive provenienti dal movimento. Ciò perché sarebbe violata la libertà costituzionale di chi è eletto alla funzione pubblica che deve essere esercitata in autonomia, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. La norma costituzionale è evidentemente imperativa, attenendo al corretto funzionamento di un organo elettivo, e non può essere disattesa dalla privata volontà di un movimento politico". 

La Raggi può stare tranquilla? 
"Ove non dovesse ottemperare a quello scriteriato contratto da lei sottoscritto, sarebbe allontanata dal movimento ma nessun giudice della Repubblica la condannerebbe a pagare i 150 mila euro. Queste elementari nozioni giuridiche avrebbero dovuto essere a conoscenza di qualche giurista del M5S. E se tale informazione tecnica e di buon senso fosse mancata, mi domando: nelle mani di chi siamo?". 
Sul punto l'avvocato Borre aggiunge: "Lo statuto di Roma capitale attribuisce al singolo consigliere una indipendenza assoluta nell'esercizio del mandato. La multa non sta in piedi. Quanto al Codice di condotta, un bei giorno all'improvviso viene pubblicato sul blog e diventa legge. Ma chi l'ha compilato? Non è mai stato votato. Da dove trarrebbe una qualche legittimazione?". 

PROFESSOR RESCIGNO: "M5S RISCHIO PER LA DEMOCRAZIA"
In una giornata uggiosa incontriamo, a pochi passi dal Quirinale, un'autorità nel campo del diritto civile in Italia. E' il professore Pietro Rescigno, anni 88, autore di ponderosi volumi che hanno formato migliaia di studenti. Nel 1966 il celebre giurista pubblica "Persone e comunità", una pietra miliare se si vuole comprendere l'articolato universo giuridico delle associazioni umane. 

"Nel diritto privato",  spiega il professore al Foglio, "sindacati e partiti erano e sono rimasti associazioni non riconosciute. Nel tempo si sono ben guardati dall'assumere una personalità giuridica, una scelta legittima che però oggi scricchiola dinanzi alle nuove realtà che si affacciano nel panorama politico nazionale. Il M5S si definisce un non partito fondato su un non statuto. E' chiaro a tutti che è un partito esattamente come gli altri, ma assai meno democratico. L'articolo 49 della Costituzione, la nostra carta fondamentale di cui si vorrebbe modificare la seconda parte sebbene la prima sia rimasta ampiamente inattuata, sancisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Nelle università abbiamo insegnato ai giovani che questa prima parte rappresentava un regime transitorio. Come spesso accade in Italia, il transitorio è diventato definitivo". 

Nel guazzabuglio stellato il movimento per la legalità fa a pugni con la legge. La creatura di Grillo&Casaleggio appare intrappolata in una sorta di autocrazia plebiscitaria tra codici e codicilli che non stanno in piedi. 

"Il M5S si da delle regole che gli stessi aderenti conoscono in modo approssimativo. Non esiste la norma in quanto tale ma un'astratta e precaria disciplina che muta in base alle contingenze. Vige la discrezionalità del leader. In un'associazione non riconosciuta, come sono i partiti italiani, incluso il movimento di Grillo, l'espulsione è regolata, per analogia, sulla base del Codice civile; può essere disposta per gravi motivi e deve essere deliberata da un organo assembleare. Non può essere che il capriccio di uno solo decida se tu sei dentro o fuori". 

Nel sistema grillino, ispirato alla volonté générale rousseauiana, l'eletto è un "portavoce" della base, esecutore delle indicazioni provenienti dal basso. 

"Questa è la narrazione che il movimento propone di sé. La natura privatistica di un'associazione non riconosciuta consente una certa libertà nel rispetto delle autonomie collettive. Tuttavia la Costituzione fissa certi paletti, come il divieto di mandato imperativo: il parlamentare è rappresentante della nazione, non di un capo o di una società di capitali. Nel M5S invece si accentua il distacco tra l'opinione pubblica che esso controlla e la realtà che viene gradualmente alla luce. L'Aventino su cui gli esponenti grillini generalmente si ritirano non aiuta. La questione è di sostanza, pensi soltanto alla sponda con il presidente russo Putin. In quale congresso è stata discussa? In un'associazione politica alcuni momenti deliberativi andrebbero formalizzati". 

Paragonato ai 5 Stelle, il Pd somiglia a un Eden di partecipazione. Matteo Renzi tenta la scalata del partito da outsider, senza l'appoggio dell'establishment, e riesce soltanto al secondo tentativo grazie ad una competizione aperta. Nel M5S sarebbe inimmaginabile. 
"Le confesso che non sono un fan delle primarie, rischiano di fotografare un dato di partecipazione slegato dall'effettiva appartenenza al partito. Tuttavia indubitabilmente il Pd si rifa a un sistema più tradizionale e nel contempo più democratico di quello grillino. Il giorno in cui dovessero crescere le responsabilità formali del M5S, la Rete sarebbe garanzia di democraticità? Persino la Democrazia cristiana era più democratica dei 5 Stelle. C'erano correnti organizzate che si confrontavano in congresso a colpi di mozioni contrapposte. Nei momenti elettorali si rinsaldava l'unità del gruppo. Il M5S ha incanalato il sentimento anti-sistema, costante dei nostri tempi, ma non ha saputo liberarsi dall'alone di mistero che lo avvolge. Prevale l'opacità. Credo che Grillo e Casaleggio siano stati colti impreparati dalle dimensioni assunte dal movimento. Un sistema leaderistico così accentuato rappresenta un rischio per la democrazia italiana". 

IL PARERE DEL COSTITUZIONALISTA PINELLI: "UNA PAGLIACCIATA"
Nel quartiere romano di San Lorenzo il costituzionalista Cesare Pinelli ha appena concluso un dibattito con il presidente di Magistratura democratica, il tema è il referendum. Pinelli è per il sì, Md è per il no. In sala non si contano più di quindici persone, alla fine il prof si spazientisce, saluta gli astanti e se ne va. "Mi segua che parliamo", d'accordo. Professore, il M5S è un partito, un non partito, una bocciofìla? 
"Non scherziamo, Grillo e Casaleggio hanno fondato un partito in Italia. Il non statuto è una pagliacciata, un artifìcio retorico. Come chiariscono i giudici, sul piano giuridico il M5S è un partito a tutto tondo. Anzi, le dirò, è il partito italiano più autoritario. Al suo interno, attraverso codici e codicilli, esso realizza l'ambizione che gli è impedita in Parlamento". Che intende? "Grillo sogna di imporre agli eletti un mandato imperativo espressamente vietato dall'articolo 67 della Costituzione. E dire che si oppongono alla riforma perché vorrebbero salvarla questa Costituzione. Io domando: l'hanno letta?". I grillini non sono la sua tazza di té. "Il divieto di mandato imperativo esiste da due secoli in tutti i regimi democratici. Il M5S è il massimo dell'autoritarismo combinato con il massimo della unzione democratica". 

Gli eletti a Roma hanno sottoscritto una clausola contrattuale che punisce chi dissente con una multa di almeno 150 mila euro. 
"Nessun giudice la applicherebbe, è una norma palesemente incostituzionale. Gli esponenti grillini non sono i camerieri di Beppe Grillo. Una volta eletti, rappresentano le istituzioni". Il tribunale di Napoli ha dichiarato l'illegittimità del Regolamento che Grillo applica per irrogare espulsioni e che, stando alle parole del leader, dovrebbe consentire la presentazione delle liste alle elezioni politiche. 'Siamo oltre il quorum', è il refrain. "Modifiche e integrazioni statutarie prevedono quorum e soglie vincolanti. Le forme, in democrazia, contano. E' paradossale che un movimento nato per affermare la legalità esibisca una tale noncuranza per il rispetto della norma scritta". 
Una vecchia storia, le regole si applicano per i nemici e s'interpretano per gli amici. 
Se il 4 dicembre vince il no, spiana la strada a un governo grillino 
"Maggiore sarà il distacco dal sì, maggiori sarà la probabilità che la principale forzi di opposizione diventi catalizzatore di un movimento che porti alle elezioni. E' vero che bisognerebbe rifare le leggi elettorali di Camera e Senato, ma questo sarebbe un rompicapo per gli altri partiti, non certi per il M5S, che com'è suo costume si siederebbe sulla riva del fiume". 

Il M5S è un pericolo per la democrazia? 
"L'assetto interno di un partito non è mai indifferente per quello che farà una volta conquistato il potere. Quello grillino è decisamente inquietante, torbido, autoritario. Da tempo il M5S ha gettato la maschera dell'assoluta orizzontalità della partecipazione in Rete. II vero obiettivo dei vertici è cacciare i dissenzienti non solo dal gruppo parlamentare ma dal Parlamento, in barba al dettato costituzionale. D'altra parte, costoro conoscono solo la Costituzione coast to coast, un logo buono per le felpe che indossano, e niente più".
Annalisa Chirico


mercoledì 6 luglio 2016

Faide romane

intervista al Sussidiario

"Attenti, i grillini sono una setta"

Disillusioni: la pentastellata più votata a Milano si pente e avverte


«Il movimento 5 stelle è pericoloso per la democrazia: fanno il contrario di quel che promettono». Paola Bernetti, vincitrice delle primarie, vuota il sacco dopo anni di attivismo. E rivela i trucchi «con cui un’azienda controlla gli adepti»

di Mauro Suttora

Oggi, 1 giugno 2016

«Il Movimento 5 stelle è pericoloso per la democrazia. Mi sono disiscritta dopo sette anni, soffrendo per l’enorme delusione. Ma non voglio esser complice di quella che potrebbe diventare una dittatura, se i grillini andassero al governo».

Paola Bernetti, 60 anni, libera professionista, è stata la più votata alle primarie M5s per il Senato in tutta Milano e provincia: 200 preferenze, il doppio di tutti i deputati finiti a Roma (tranne una, fedelissima della società Casaleggio & associati).

Ma lei a Roma non c’è mai andata. Con trucchi vari (cordate, doppie candidature, elezioni di parenti), gli ortodossi l’hanno eliminata. Hanno preferito che la seconda città italiana non avesse senatori 5 stelle, piuttosto che tenerla in Parlamento.

Ciononostante, per tre anni e mezzo  ha mantenuto il silenzio: «Ho continuato a votarli, pensando che gli altri partiti sono peggio. E poi ho ereditato da mio padre, generale, il senso del dovere: non volevo passare per la solita dissidente che “tradisce” gli amici che ancora ho nel movimento».

Per questo ha rifiutato interviste a tv e giornali nazionali. Ma ora ha deciso di vuotare il sacco. Svelando i meccanismi interni di quella che definisce una vera e propria «setta»: «La mia distanza dal M5s aumentava a ogni espulsione. È stata quella di Federico Pizzarotti, sindaco che amministra egregiamente Parma, ad aprirmi definitivamente gli occhi».

Com’è entrata nei 5 stelle?
«Amore a prima vista, colpo di fulmine, ero cieca. Dal 2006 seguivo il blog di Grillo, poi nel meetup milanese che si nutriva di collettivi negli scantinati, infine la gioia della nascita del M5s nel 2009. Vedevo tante facce pulite, piene di ideali come me, che sognavano di cambiare il mondo. Ci sentivamo molto importanti, pensavamo di fare la storia».

Quando ha avuto i primi dubbi?
«Fino al 2012 l’entusiasmo era tanto: passavo giornate intere a volantinare, anche se il nostro consenso a Milano era solo del 3 per cento. Ai primi malumori verso i vertici venuti dall’Emilia Romagna, dove il M5s aveva già il 10 per cento, mi schierai con Grillo. Pensavo che un movimento con anime così diverse avesse bisogno di una guida forte e centrale».

Quindi accettava l’autoritarismo?
«Vedevo in Grillo un padre padrone, però buono e giusto, che avrebbe sempre e solo fatto gli interessi del M5s guidandoci con disinteresse. Alle prime espulsioni lo giustificai ancora: era giusto cacciare chi danneggiava la nostra immagine. Non mi sfiorava l’idea di essere vittima di una setta, e che io stessa ero diventata un’adepta».

Quando si è svegliata?
«Alle primarie di fine 2012 mi resi conto che i vertici muovevano le fila di tutto, decidendo a loro piacere chi doveva entrare in Parlamento».

Come?
«Ufficialmente tutto avviene online attraverso il portale della Casaleggio srl, ma ogni controllo viene respinto. Sbandierano trasparenza, ma hanno fatto sparire tutti i voti delle “parlamentarie”. I risultati delle primarie per le europee del 2014 li hanno tenuti segreti. Sbandierano coerenza, ma sulla presenza in tv hanno cambiato idea cinque volte, perfino espellendo Federica Salsi per una comparsata tv».

Insomma, proprio tutto negativo? 
«Sì. Il Parlamento deve votare una seria legge sulla democrazia all’interno dei partiti. Io non li voterò più: sono diventati un partito demagogico».
Mauro Suttora







































GOVERNANO GIA' UN MILIONE DI ITALIANI

Quasi un milione di italiani (920mila in 18 comuni) sono amministrati da sindaci eletti dal M5s in dieci regioni. Eccoli, in ordine di numero di abitanti, con i loro guai giudiziari e politici:

1) Parma dal 2012, 192mila abitanti, sindaco Federico Pizzarotti sospeso in attesa di espulsione, indagato per abuso d'ufficio su esposto di un senatore Pd per una nomina al Teatro Regio.
2) Livorno dal 2014, 159mila ab., sindaco Federico Nogarin indagato per bancarotta fraudolenta dell'azienda di nettezza urbana. Ha contro quattro ex grillini, la sua maggioranza regge per un solo voto. 
3) Gela (CL) dal 2015, 76mila ab., sindaco Domenico Messinese espulso dopo che aveva «licenziato» tre assessori 5 stelle.
4) Ragusa dal 2013, 73mila ab., sindaco Federico Piccitto in guerra con il M5s locale dopo aver cacciato gli assessori all'Ambiente e alla Cultura. Tasi tolta e reintrodotta l'anno dopo.
5) Pomezia (RM) dal 2013, 63mila ab., il sindaco Fabio Fucci ha prorogato la gestione rifiuti a una coop vicina a Buzzi di Mafia Capitale. Ha nascosto un avviso di garanzia allo staff di Grillo.
6) Bagheria (PA) dal 2014, 55mila ab., il sindaco Patrizio Cinque ha casa abusiva di famiglia, l'assessore all'Urbanistica Luca Tripoli si è dimesso anch'egli per villa abusiva.
7) Civitavecchia (RM) dal 2014, 53mila ab., il sindaco Antonio Cozzolino ha messo le aliquote massime Irpef e Imu, e alzato la Tari.
8) Quarto (NA) dal 2015, 41mila ab., sindaca Rosa Capuozzo espulsa, Giovanni De Robbio, consigliere grillino più votato, indagato dall'antimafia per corruzione elettorale e tentata estorsione con l'aggravante del favoreggiamento a un'organizzazione camorrista, espulso.
9) Mira (VE) dal 2012, 38mila ab., il sindaco Alvise Maniero a processo per lesioni a un ragazzo rimasto paralizzato nella piscina comunale, causa non rispetto di norme antinfortunio. Ha nominato assessore la moglie di un deputato grillino.
10) Augusta (SR) dal 2015, 36mila ab., il ministro Delrio ha dichiarato che la sindaca Maria Concetta Di Pietro gli parlò bene di un commissario portuale indagato per il petrolio lucano. 
11) Venaria Reale (TO) dal 2015, 34mila ab., il sindaco Roberto Falcone ha già perso una consigliera grillina ed è finito in minoranza in vari voti.
12) Assemini (CA) dal 2013, 26mila ab., il sindaco Mario Puddu ha espulso tre consigliere grilline che l'hanno denunciato alla procura per una «giunta ombra». 
13) Porto Torres (SS) dal 2015, 22mila ab., il sindaco Sean Christian Wheeler ha espulso la capogruppo 5 stelle fidanzata con un giornalista «nemico».
14) Comacchio (FE) dal 2012, 22mila ab., sindaco Marco Fabbri espulso già nel 2014 per essersi candidato alla provincia.
15) Sedriano (MI) dal 2015, 11mila ab., il sindaco Angelo Cipriani, maresciallo della Guardia di Finanza, guida il primo comune lombardo sciolto per mafia. Ha lasciato l'auto in sosta vietata accompagnando i figli in palestra.
16) Pietraperzia (EN) dal 2015, 7mila ab., il sindaco Antonio Calogero Bevilacqua un mese fa ha subìto un attentato intimidatorio: incendiato il portone di casa.
17) Sarego (VI) dal 2012, 6mila ab., il sindaco Roberto Castiglion aveva promesso di rimettere il mandato ogni anno per una conferma degli elettori, ma poi ci ha ripensato.
18) Montelabbate (PU) dal 2014, 6mila ab., la sindaca Cinzia Totala Ferri ha cancellato il contratto con Equitalia per introdurre una riscossione più soft.
Mauro Suttora

mercoledì 18 maggio 2016

Feltri: tifo Raggi

Feltri, chi vincerà a Roma il 5 giugno? 
«Mi auguro che vincano i 5 Stelle. Per un motivo semplice: se la signora Raggi risolve i problemi di Roma, cosa che mi sembra altamente improbabile, tanto di guadagnato per tutti. Se fa dei pasticci come i suoi predecessori, ci toglieremo finalmente dai coglioni anche i 5 Stelle».
(intervista al settimanale Oggi, 18.5.16)

venerdì 8 aprile 2016

"Piastratissima"

Grillo fa il miracolo: è la Raggi. Sciolto il mistero Bedori: era poco avvenente

di Marco Zonetti


Affari Italiani, 8 aprile 2016

Studio televisivo, make-up da passerella, capelli piastratissimi, ciglia sbattute con civettuolo pudore. No, non va in scena l’intervista all’attrice, modella, cantante, soubrette del momento. Sotto i riflettori c’è invece Virginia Raggi, candidata dell'M5S per la poltrona di sindaco di Roma.

Nel salotto di Otto e mezzo, amministrato da una decisamente soffice Lilli Gruber, la grillina che tenta la scalata al Campidoglio trova l’accogliente atmosfera e il piglio compiacente di un rotocalco pomeridiano. Illuminata da decine di migliaia di watt che neppure Greta Garbo in Mata Hari, la Raggi risplende come una madonnina votiva e risponde alle (particolarmente facili) domande della rossa nazionale e di Massimo Franco, meno incalzante che mai.


È sbalorditivo il lavoro d’immagine effettuato sulla Raggi da parte della Casaleggio & Associati: la mammina paludata in abiti anonimi, e dai capelli scompigliati dal vento sferzante ai gazebo e ai tavoli di raccolta firme, è stata tramutata in una sorta di Penelope Cruz de noantri, che procede nei vagoni della metro C come su un red carpet e che è onnipresente nei talk show televisivi, alla radio, sui giornali emulando l’Alba Parietti “coscia lunga della sinistra” dei vecchi tempi.

Mentre fino a qualche tempo fa i grillini si facevano un vanto di non essere televisivamente accattivanti nonché la bestia nera dei mass media, adesso antepongono la resa estetica alla valenza battagliera delle loro istanze.

Qualche anno fa Grillo auspicava una casalinga ministro delle finanze. Poche settimana fa, la casalinga Patrizia Bedori – candidata sindaco di Milano – è stata messa poco gentilmente alla porta, rea di essere poco convincente dal punto di vista mediatico e di scarsa avvenenza. E gravissime offese all’aspetto fisico della Bedori, secondo quest’ultima, proverrebbero proprio dal mondo pentastellato.


Virginia Raggi sembra essere diventata l’emblema dell’accusa che da più parti e fin dall’inizio viene mossa al m5s, e cioè che i suoi candidati – ed eletti nelle istituzioni a spese degli italiani – siano scelti con meccanismi simili a quelli del televoto nei reality o nei talent show (ma con molti meno voti).

 L’aspirante prima cittadina di Roma, sottoposta a un pedissequo e mirato studio sull’immagine da parte di una società di consulenza per le strategie digitali (la Casaleggio & Associati, per l’appunto), porta all’estremo questa dinamica finendo per diventare un personaggio e non più una persona; una cittadina del villaggio globale più che la “semplice cittadina” tanto sbandierata agli albori dell'M5S; una sorta d’incrocio fra una Suor Cristina laica e Marina La Rosa, indimenticata “gatta morta” del primo Grande Fratello.

 Il movimento antisistema, quindi, ufficializza con la Raggi il suo posto d’onore nel sistema più potente di tutti: quello mediatico, in cui non conta la verità bensì l’apparenza; non l’essere umano in carne e ossa bensì il simulacro; non il senso civico bensì il senso estetico.


Il dispiego di mezzi per rendere Virginia Raggi più telegenica che mai è, ahinoi, inversamente proporzionale alla quantità dei contenuti veicolati dai suoi discorsi. Basta vederla negli studi di Otto e mezzo: ai quesiti di Gruber-Franco, la grillina riesce a parlare per svariati minuti senza tuttavia dire alcunché, senza dare una sola risposta, senza approfondire un suo punto di vista personale.

L’aspirante sindaco romano del movimento cinque stelle appare ma non c’è, come gli ologrammi evocati dalla sua fata madrina Beppe Grillo, che da Cenerentola sconosciuta e nascosta nei polverosi studi legali a sbrigare fotocopie, l’ha trasformata dalla sera alla mattina – complice Casaleggio – in un’affabulatrice televisiva.


L’incantesimo finirà alla mezzanotte del cinque giugno con una sonora sconfitta, o Virginia Raggi vivrà felice e contenta sulla poltrona di sindaco di Roma? Il problema, almeno per lei, non sussiste: volendo, una poltrona di tronista televisiva non gliela toglierà nessuno.

mercoledì 2 marzo 2016

Grillo guarda a destra

Corriere della Sera, 2 marzo 2016

di Massimo Franco

E pensare che il Pd accarezzava un’alleanza con Beppe Grillo. Adesso, a causa delle unioni civili, i Dem sono risucchiati a sinistra e Beppe Grillo punta all’elettorato di centrodestra. Quasi volesse fare un anti partito della Nazione moderato.

Era già successo dopo il voto del 2013, quando l’allora segretario Pier Luigi Bersani sognò un accordo con Grillo; e ora, in occasione della legge sulle unioni civili, Renzi era certo di un’intesa col Movimento.

E invece, mentre i Dem si dividono su Verdini e l’ex segretario Bersani ripete di non volere scissioni, il M5S si smarca da tutto; e può accentuare il profilo di movimento che guarda in tutte le direzioni: soprattutto a destra. La candidatura di Virginia Raggi a Roma non è una scelta isolata.

Riflette una virata in atto nell’intero gruppo dirigente nazionale. La rottura con la sinistra sulle adozioni per le coppie omosessuali si sta rivelando l’occasione per ridefinire le proprie coordinate; e per accentuare un’attenzione verso l’elettorato abbandonato dalla crisi del berlusconismo e dall’estremismo xenofobo leghista. 

Più Palazzo Chigi mostra di condividere le istanze delle organizzazioni gay, più la cerchia grillina se ne dissocia. Già era emerso un avvicinamento agli ambienti cattolici per il Family Day. Ora la strategia è vistosa: quasi Beppe Grillo pensasse a un anti-«partito della Nazione» moderato.

Renzi appare risucchiato a sinistra. Il suo candidato a Milano, Giuseppe Sala, si prepara all’accordo con il Sel di Nichi Vendola. E, quasi di rimbalzo, il M5S piega il suo trasversalismo in direzione dei voti moderati. Attacca frontalmente la pratica dell’«utero in affitto» alla quale ha fatto ricorso Vendola in California per avere un figlio. Accusa il Pd di voler riproporre alla Camera la legge sulle adozioni solo «per ingraziarsi le associazioni gay che sono arrabbiate», sostiene Luigi Di Maio.

Il vicepresidente della Camera del M5S aggiunge che «non ci sono voti di centrodestra e di centrosinistra». E propone che sia un referendum popolare a decidere se le coppie omosessuali possano adottare bambini: risultato che non otterrà, ma che intercetta la contrarietà di una fetta maggioritaria di italiani. E questo mentre un altro membro del direttorio del M5S, Alessandro Di Battista, ricorda che Vendola è stato rinviato a giudizio per il disastro ambientale dell’Ilva di Taranto.

Si indovina un doppio calcolo: sottolineare lo spostamento a sinistra del Pd in vista delle amministrative di giugno; e attirare pezzi di elettorato deluso. Si tratta di un’operazione spregiudicata, ma resa facile dall’eterogeneità del M5S e dalle controverse trasparenze della «rete». Smentisce i luoghi comuni su un Grillo di sinistra e soprattutto su consensi strappati solo a Pd e Sel. Il vero, capiente serbatoio dell’astensione, in realtà, sembra essere quello di chi appoggiava quel populismo dall’alto, che Silvio Berlusconi ha incarnato a lungo.

mercoledì 10 febbraio 2016

Multe, caserme e vincolo di mandato

Casaleggio minaccia gli eletti grillini di multa stratosferica (150mila euro per consiglieri comunali che ne prendono 1000 al mese) in caso di violazione del vincolo di mandato.

Ma quale mandato? Esempio concreto: vendere tutta la Rai tranne un canale per il servizio pubblico. Era scritto nel programma 5 stelle. Ora non più. Risparmio la discussione sul perché. Ma domando: chi ha "tradito"? In questo caso nessuno. A torto o a ragione, dopo qualche mese di presidenza vigilanza Rai, Fico e Casaleggio (non un voto online) hanno deciso che è meglio accantonare questo punto. Ma un elettore 5 stelle (o un portavoce) può contestare questa decisione, e sentirsi "tradito". 

Insomma, questo per dire che in politica le cose cambiano, le visioni possono divergere e le versioni pure. Si chiama, appunto, "libero dibattito". O fluire della realtà. O differenza fra autoritarismo e libertarismo. Fra movimento e caserma.

Quindi è puerile illudersi di imporre disciplina minacciando multe. Altrimenti qualcuno potrebbe chiedere di multare Casaleggio per violazione del vincolo di mandato (di tutto il suo movimento) sulla Rai 

venerdì 15 gennaio 2016

Grillini spendaccioni, seconda puntata

dibattito sul meetup M5s di Milano:

Barbara:

1) Il resoconto dei Parlamentari è dettagliato e nessuna spesa mi appare esosa, né fuori luogo, né ingiustificata.

2) a Roma o paghi di più l'affitto o paghi di più il trasporto e, col traffico che regna in quelle vie, io anche sceglierei di spendere di più per un affitto di una casa vicino alle sedi parlamentari

3) i documenti che riporti per giustificare le tue opinioni, in realtà, le confutano di sana pianta, anzi, a dirla tutta, sono veramente assennati i nostri ragazzi,

4) collaboratori e consulenti sono necessari per rendere a noi il servizio migliore possibile

5) Riguardo gli europei dagli "stipendi" personali, circa seimila euro al mese, detraggono qualcosa tipo mille e qualcosa euro
il che riduce lo stipendio un tot che consente una restituzione, in totale, al Fondo per le PMI di oltre 260.000 euro l'anno che, considerato che sono solo in 17, direi che va più che bene.

6) Insomma, Suttora, se per scrivere quell'articolo hai usato i dati qui riportati come fonti delle tue opinioni, beh, delle due una: o non sai leggere o sei in mala fede.

mia risposta:

1) SPESE 'ESOSE'
Nell'articolo Grillini spendaccioni ho scritto:
"Due anni fa i parlamentari grillini rinunciavano a 5-6mila euro mensili, sui 14mila netti. Oggi la media dei tagli si è dimezzata a 2-3mila euro".
Aggiungo: Morra, Lombardi, Giarrusso, Fico, Sibilia, Nuti restituiscono pure meno: 1400-1800 mensili.
Nessuna spesa ti "appare esosa"? E allora come mai ora incassano il doppio? O due anni fa morivano di fame, o adesso esagerano.

2) AFFITTI IN CENTRO DA OLTRE 2.000 MENSILI
Ho scritto: "Ora vogliono abitare tutti nel centro di Roma. Riescono a spendere oltre 2mila euro per l’alloggio. Un tempo politici di alto livello come Togliatti, De Gasperi, Pertini o Nenni si accontentavano di affitti in periferia (Balduina, Garbatella). Oggi anche gli ex francescani 5 stelle, forse in omaggio al loro nome, pretendono di avere un “quartierino” di lusso in centro".

Ho abitato 6 anni a Roma. Dalla Balduina al centro ci mettevo 15-20 minuti col bus 910, pagando 30 euro mensili di abbonamento.

3) "I NOSTRI RAGAZZI ASSENNATI"
Ho scritto: "Quando si muovono, disprezzano i mezzi pubblici. Ogni mese spendono anche mille euro in trasporti. Poiché godono di aerei e treni gratis, sono spese per taxi e benzina".
Ti invito a leggere meglio il sito www.tirendiconto.it. C'è da divertirsi. Oltre ai taxi, amano i ristoranti. Ma sia al senato che alla camera nelle mense interne si mangia con pochi euro.
Poi ci sono le truffe, come quelli che mettono fuori migliaia di euro in benzina pur abitando a 200 km da Roma.
Ma tanto nessuno controlla, non devono neppure depositare le ricevute: bastano le autodichiarazioni. Insomma, i rendiconti sono una barzelletta.

4) PORTABORSE
Ho scritto: "Fino agli anni 80 i portaborse non esistevano. Poi i politici riuscirono a mettersi nello stipendio le spese per i segretari personali. Nanni Moretti denunciò questo simbolo della partitocrazia nel film Il Portaborse di Daniele Luchetti (1991). Niente da fare. Oggi anche gli antipolitici grillini spendono con allegria migliaia di euro in “assistenti”.
Quasi tutti ne hanno assunti due, nonostante la pletora di funzionari di Camera e Senato che forniscono assistenza a ottimi livelli. E malgrado le decine di milioni di euro che anche il Movimento 5 stelle incassa come finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari, debordanti di personale".
Aggiungo che l'eurodeputato Corrao era riuscito a battere ogni record di clientele Dc o Psi, assumendo 11 portaborse. Ora è sceso a 7, come Daniela Aiuto (che, in omaggio al suo cognome, beneficia ben 5 portaborse nel proprio collegio elettorale).

5) EURODEPUTATI M5S
Ho scritto: "I più fortunati sono i 17 eurodeputati. Fra stipendio e rimborsi vari, dispongono di 41mila euro netti mensili: 21 mila solo per i portaborse. È uno dei tanti scandali di Bruxelles. E i grillini si sono adeguati: non tutti usano il totale dei rimborsi, ma si tagliano dallo stipendio solo mille euro mensili.
L’unica virtuosa è la lombarda Eleonora Evi: rinuncia a 3.000 euro.

Contrariamente agli eletti nazionali, solo cinque rendicontano parzialmente le spese. Forse è meglio che non lo facciano, visto che una dichiara di aver comprato “posacenere tascabili ecologici” per 700 euro".

Il tuo calcolo conferma il mio: 260mila euro restituiti in 12 mesi da 17 eurodeputati sono 1.200 mensili a testa. Che si riducono a 1.000 perché una sola (Eleonora Evi) restituisce il giusto: 3.000, su 10.000 mensili di stipendio+diaria.
Se ce la fa lei a sopravvivere con 7.000 netti (avendo tutte le spese pagate, viaggi, ecc: Affronte si paga perfino un ufficio nella sua Rimini), ce la possono fare anche gli altri. O no?

6) SEI ANALFABETA O IN MALAFEDE?
Ti rivolgo anch'io questa domanda. C'è una terza ipotesi: stupidità

domenica 10 gennaio 2016

Saviano contro le epurazioni M5s

Da Repubblica, 10 gennaio 2016:
(...) La prassi di raccogliere dossier per poter screditare l'avversario politico (che abbiamo chiamato macchina del fango), ha finito per trovare una sinistra corrispondenza, anche se sottile e camuffata, nei processi sui blog o in televisione. (...)

"Come un serpente che si morde la coda, quanto più in alto abbiamo posto l'asticella della "purezza&onestà", più grande sarà lo scandalo a prescindere dall'entità e dalla natura dell'errore, commesso o meno. 

Ma il nodo per comprendere questa situazione è la analisi della prassi delle espulsioni, che nei propri opachi contorni è sempre più vissuta dall'opinione pubblica come una pratica di epurazione. Del resto, cosa sono le espulsioni se non il mettere alla gogna chi non ha rispettato il programma, l'additare alla folla il reo?" (...)

"Se alle criticità il Movimento è in grado di opporre la sola prassi dell'espulsione, allora il futuro è tutt'altro che roseo e la provocatoria invocazione "onestà, onestà", risuonata nell'aula del consiglio comunale di Quarto, e proveniente dal pubblico di militanti del Partito Democratico, ha finito per essere un amaro contrappasso, una grottesca inversione di ruoli.

"Ciò che è accaduto a Quarto, ma qualche giorno fa anche a Gela (...), ci dice chiaramente che le espulsioni non servono a creare gli anticorpi necessari per amministrare realtà complesse. Mi domando, infatti, cosa accadrà se e quando il Movimento dovesse governare realtà metropolitane in cui politica è giocoforza compromissione, nel senso positivo del termine di dover condividere decisioni importanti anche con altre forze sociali e più in generale con il territorio" (...)


"La conoscenza del territorio, insieme a strutture interne democratiche di pesi e contrappesi, sono le uniche prassi sicure di selezione e metterebbero al riparo da procedimenti di espulsione tipici di una logica da imbonitore".

"E se dovesse capitare di nuovo? Se altre criticità dovessero riguardare la figura del sindaco eletto o di un importante assessore, cosa ha da proporre come rimedio politico il Movimento, oltre all'espulsione? Che sarà anche catartica, ma non risolve i problemi enormi di realtà complesse.

"Se il Movimento non sarà in grado di imparare e trarre profitto dallo sbandamento di queste ore, il caso Quarto potrebbe pesare come un macigno sulle possibilità di offrire una credibile ed efficiente alternativa ai partiti tradizionali. (...)

Eppure il meccanismo inquisitoriale che sottende la logica delle epurazioni, in continuità con la matrice puritana propria della tradizione comunista, è in contrasto con l'ammirazione che il Movimento 5 Stelle prova verso Sandro Pertini, riformista socialista che sull'esempio di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, contrastò l'intransigenza bolscevica "o tutto si cambia o nulla serve", spingendo al contrario verso trasformazioni graduali per rafforzare i meccanismi di legalità e giustizia. Negli anni più bui furono loro che salvarono il sentire democratico e socialista dalle derive totalitarie.

Quando è il momento di governare e di assumersi responsabilità, il cortocircuito innescato dai processi sommari a mezzo blog a soggetti infedeli ti presenta il conto: oggi è fin troppo chiaro che non basta candidare incensurati per avere la certezza che non commettano reati nel corso

del loro mandato. Ed è altrettanto chiaro che non basta espellere chi non rispetta le "regole" per preservare un percorso politico. Il rischio – non faccio ironia – è che ne resti uno solo, il più puro, che finirà per espellere tutti gli altri.