lunedì 2 dicembre 2013

Genova, 2 dicembre: Corsera

SOTTO IL PALCO I PARLAMENTARI RACCOLGONO SFOGHI: LO DIREMO A BEPPE. IL CORO «A CASA» COME NELLE PRIME PONTIDA

Tutti i no in piazza, lo scontento si raduna
Dai comitati «anti» ai singoli cittadini E il leader ora vuole parlare alle imprese

di Marco Imarisio

Corriere della Sera, 2 dicembre 2013

GENOVA. «Ne voglio due». All'ingresso della piazza c'è una bancarella che vende solo le maschere in plastica di V per vendetta. Il pensionato Emilio Borghini procede al doppio acquisto. «È qui per il possibile video-messaggio di Julian Assange?». «No», è la risposta. «Le ho viste in un film su Canale 5 e ho deciso di regalarle ai miei nipotini». 

Al gran bazar dello scontento ci sono tutti i «no» possibili e immaginabili, dalla Gronda al Tav, al Terzo valico. L'Associazione nazionale pubblici esercizi vuole dire basta ai vantaggi di banche, assicurazioni e multinazionali, gli ecologisti di Savona sono contro la centrale a carbone, un gruppo di bancari arrivato da Imola espone invece uno striscione contro la Sovranità monetaria. Il gassificatore di Ponente, gli autoferrotranvieri di Genova, la causa collettiva per il rimborso delle bollette dell'acqua, la pianificazione territoriale che manca in Veneto. 

I parlamentari del Movimento Cinque stelle sono sotto i loro gazebo, lontano e dalla parte opposta dal palco. «A illustrare le attività e i risultati conseguiti in Parlamento», c'è scritto sul volantino che assegna loro un ruolo. In realtà fanno altro. Ascoltano, raccolgono sfoghi individuali, la gente si mette in coda per raccontare torti subiti, veri o presunti che siano, non importa. Paola Taverna, attuale capogruppo al Senato, e gli altri, prendono appunti a getto continuo, fanno sempre e comunque grandi cenni di assenso. «Hai ragione, lo diremo a Beppe». Avanti un altro. 

I numeri di chi c'era dicono poco. Quel che conta è il modo. Una coppia di Brescia incrocia Vito Crimi e gli chiede di posare per una foto con i loro bambini in passeggino. La signora di Sassello si fa largo per donare i suoi biscotti fatti in casa ad Alessandro Di Battista. Non sono note di colore, almeno non dovrebbero, ma piuttosto il segno di un senso di appartenenza ormai forte. Il Movimento Cinque Stelle ha fatto fuori la concorrenza, ormai siamo in regime di monopolio della protesta. La catalizzazione del mal di pancia rimane la principale caratteristica della creatura di Casaleggio e Grillo. 

«Tutti a casa» grida dal palco il presentatore, invitando il pubblico a ripetere in coro, sempre più forte. «Per farlo sentire anche a quelli di Roma». A chiudere degli occhi e lasciarsi andare ai ricordi, vengono in mente le prime Pontida della Lega Nord, lo stesso slogan, lo stesso crescendo, dedicato ai politici della Capitale, per definizione ladrona. 

«Vale la pena di essere qui anche perché potresti incontrare l'uomo e la donna della tua vita» suggeriscono dal palco. L'invito alla tenerezza non viene raccolto, è troppo forte la prima pulsione, l'istinto primario che prevale in piazza della Vittoria è quello della protesta, del tutti a casa. Il resto non interessa, viene comunque dopo la rabbia. Non c'è l'illusione o la speranza in un altro mondo possibile, come quello dei no global. Il pensiero unico è sempre quello. 

Quando Grillo stempera il suo consueto furore da comizio in un lirismo da utopia, immaginando una società libera anche da un lavoro «che è schiavitù e deve essere ripensato», viene riportato a più miti consigli proprio dalla sua gente. «Tutti a casa, tutti a casa» è il grido che sale dalla piazza. Sempre più forte. È costretto a interrompersi, come un cantante che davanti a una platea adorante attacca una canzone sgradita al pubblico e deve subito tornare a strofe più familiari e apprezzate. «Dice sempre le stesse cose» sospira Sara, universitaria genovese. «Però le dice bene» aggiunge. 

È come se il canone del V-Day dovesse rimanere immutato, l'evoluzione della specie a Cinque Stelle non è ancora compiuta. La parte macro-economica, chiamiamola così, del discorso del leader, scivola via nella ghiacciaia di piazza Vittoria, quasi indifferente. «Ma insomma, dove vuole arrivare?» chiede il pensionato Emilio. I rifiuti zero, la decrescita, il ritorno alla natura, scorrono come acqua sulla roccia. Quando attacca il presidente della Repubblica, allora è tutto più chiaro, più facile. Bordate di fischi nei suoi confronti, ovazione ad ogni anatema contro politici e banchieri. 

Lo schema è fisso, ripetuto all'infinito. Ci saranno sicuramente eccezioni, ma nella sua veduta d'insieme, il pubblico di questa terza adunata nazionale vuole quello, il collante di una platea che mischia fasce di età ben diverse tra loro era e resta un gigantesco «Vaffa,», come da ragione sociale dell'evento. Grillo capisce subito l'antifona, il fiatone avanza ma l'istinto rimane, animale e immediato. Torna sui sentieri familiari della politica-zero, lascia capire qual è il suo obiettivo di breve termine in vista delle elezioni europee. 

Se il M5S è diventato un contenitore della protesta, deve essere riempito fino in fondo. Nella consueta scomposizione di un comizio che ripropone sempre lo stesso canovaccio, con frasi talvolta identiche, oggi la riproposta dei dazi doganali in aiuto della imprese italiane vessate dalla Cina cattiva e dall'Unione europea «che ci strangola», conferma la voglia, già dichiarata, di annettersi la protesta delle piccole e medie imprese, di commercianti e artigiani, il ceto medio in via di estinzione che M5S vuole salvare, e conquistare. 

«Tutti a casa, tutti a casa». Il coro lo accompagna mentre scende dal palco. La seconda parte è dedicata alla prospettiva di lungo periodo, con la costruzione di un modello di consumi e di società alternativo. Quando cominciano a parlare ecologisti, architetti, criminologi norvegesi, la piazza si svuota per metà. Il «Vaffa» c'è tutto. «Oltre» non si intravede ancora il mondo di domani, ma soltanto la rabbia di oggi. 
Marco Imarisio

Nessun commento:

Posta un commento