sabato 19 ottobre 2013

Breve storia di un nonsenso

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Indagine su “cittadini” al di sotto di ogni aspettativa

Grillo, breve storia di un nonsenso

Il comico e i Cinque stelle: i sondaggi reggono, ma la storia è quella di un incredibile spappolamento

di Marianna Rizzini

Il Foglio, 19 ottobre 2013

Buttare l’oro della cassaforte nel cassonetto, dare un calcio al mondo che avevi sotto i piedi: una cosa così. Chi sia l’oro e chi sia il mondo in questa storia non si sa, dipende dai punti di vista, ma al momento non si può far altro che allargare le braccia e dire: mah. Mah di fronte all’incredibile e triste storia non “della cándida Eréndira e della sua nonna snaturata”, come diceva Gabriel García Márquez, ma di Beppe Grillo e della sua creatura, il Movimento cinque stelle. 
Un racconto epico-grandguignolesco (così pareva) trasformatosi in una cronaca a corrente alternata di uno spappolamento, di un reciproco sputare nel piatto e di un nonsense: Grillo lancia nuovi V-day e campagne europee, i sondaggi reggono, sì (il M5s resta attorno al venti per cento) ma reggono cosa? Se regge Grillo, non è detto che sotto Grillo sia rimasta la terraferma. Se regge il Movimento, non è detto che sopra le teste degli eletti e degli elettori sia rimasto Grillo: un eterno quadro di Magritte (per fare un complimento) lanciato verso il nulla. I parlamentari di Grillo dicono a Grillo che non ci vanno, stavolta, in agriturismo, a ricomporre i cocci della lite sull’immigrazione. 
Potrebbe essere un altro argomento: Grillo è sempre uguale a se stesso ma i grillini sono improvvisamente desiderosi di tornare quelli che erano, ex elettori di sinistra stufi della sinistra oppure terzomondisti ondivaghi per un po’ conquistati dal comico carismatico (e pazienza per la posizione già espressa da Grillo sugli immigrati) oppure ex conservatori che hanno visto che nel mondo (e chez Boldrini) si porta di più il pensiero unico su temi cosiddetti “sensibili” – e allora come si fa a farsi rappresentare da quel leader che sbraita e vuole espellere i dissidenti come i clandestini. 
“Non ci veniamo”, gli hanno detto, abbiamo altri impegni, non ci va di intrupparci in torpedone sul Raccordo anulare (a saperlo potevano rientrare nel parco-personaggi di “Sacro Gra”, documentario vincitore al Festival di Venezia). Quel “no” è il dispetto, la pernacchia neanche tanto ironica di chi fino a ieri faceva della segretezza posticcia dei luoghi d’incontro voluta da Grillo e Casaleggio (la villa da matrimoni alle porte di Roma dove rinchiudersi con menù fisso di pennette tricolore) il simbolo di una “diversità” tanto celebrata quanto impraticabile.
“Il rischio è che si stanchi prima lui di loro”, dice Elisabetta Gualmini, presidente dell’Istituto Cattaneo, professore di Scienza politica all’Università di Bologna e coautrice con Piergiorgio Corbetta, a inizio 2013, del saggio “Il partito di Grillo” per il Mulino. “Nell’ottica del partito personale”, dice Gualmini, “gli eletti di Grillo appaiono un po’ sprovveduti, come se non sapessero che cosa hanno scelto e firmato prima”. 
Sugli ex grillini, d’altronde, pende una specie di dannazione: evaporano, puff, per quanto consenso avessero raccolto nelle vesti di grandi offesi dal despota che caccia. Ma anche prima di essere cacciati erano a un passo dalla scomparsa (nell’irrilevanza), al pari dei non cacciati: Grillo li sopporta e li capisce a stento, loro sopportano e capiscono a stento Grillo. 
Il risultato, dice Gualmini, “non cambia in termini di consenso, per le europee vedo una partenza roboante, anche perché il M5s è tenuto in piedi dalle larghe intese, dal malcontento generato dal governo Pd-Pdl. Ma non possono continuare, i Cinque stelle, a nascondere la propria incapacità di decidere dietro al refrain ‘la parola alla rete’. Dopodiché è vero che c’è un gap tra classe politica grillina, posizionata a sinistra, e base grillina, amalgama di disillusi di ogni polo, compresa la destra post-ideologica”.
Ma anche se Grillo non molla, anche se non segue la tentazione di tornare a fare l’attore nei palasport della gloria, laddove non lo aspettano applausi sempre più flebili e lanci occasionali di uova (metaforicamente, è quello che gli accade oggi), non è detto che Grillo resista nella forma attuale. “Verrà mangiato dal movimento, assorbito dai grillini”, dice al Foglio l’amico Oliviero Toscani, tuttavia “ancora ottimista” sull’esito finale di questo “normale travaglio”. Per Toscani “i consensi cresceranno, e crescerebbero di più se Grillo si presentasse in tv, dove già i più rompicoglioni tra i suoi, tipo il giovane Luigi Di Maio, danno l’idea che esista qualcosa oltre le opposte tifoserie di berluscoidi e non”.
Resta l’impressione di un gigantesco sfaldamento, di un’implosione, di uno spreco mai visto (venticinque per cento buttato a casaccio tra Camera e Senato), della fine dell’incantesimo (Grillo ordinava “chiudete gli ombrelli” in piazza, e tutti li chiudevano), con la carrozza che torna zucca e il trucco che cola sulla maschera dell’attore annoiato mentre l’intonaco si scrosta sulle pareti del suo “palazzo”. L’attore è umorale, bambinesco, fragile, imprevedibile. Sa che il pubblico è volatile. 
Si sono raffreddati, nel tempo, non solo Stefano Rodotà, poi gelato da Grillo con la frase “ottuagenario miracolato dalla rete”, ma anche i “beautiful” che prima consigliavano a Grillo di diventare quello che non era, un politico che negozia (sono rimasti male, infatti, Fiorella Mannoia, Sabina Ciuffini, Gino Paoli e forse pure Adriano Celentano). E già era un nonsenso tutto quell’affollarsi, sulle pagine di Repubblica, di illustri amici che provavano a tirare fuori da Grillo tutto ciò che Grillo non aveva fin dall’inizio. 
Ancora più assurda appare l’immagine finale: quella di gente arrivata al livello emerso del movimento tramite “parlamentarie” sul web (un video spesso comico, pochi clic e via) che, dopo mesi di Parlamento, vuole negare anche a se stessa di aver camminato con le proprie gambe ma con la testa di Grillo (per negarlo si sforza di mostrarsi impegnata, ragionevole. In dissenso, persino). Si sentono sconvolti e “addolorati”, gli eletti, come dicevano mesi fa alcuni attivisti romani, quando Grillo sputò sul sondaggio in cui la base consigliava ai rappresentanti locali del M5s di fornire a Ignazio Marino un nome buono per un assessorato. 
Che il progetto originario della ditta Grillo-Casaleggio non avesse previsto i casi particolari o che la disorganizzazione da successo abbia poi imposto il pugno di ferro, la frana è soprattutto psicologica: Grillo e i grillini sono ormai come i viaggiatori combinati a caso dai tour operator per single. Se ti va bene sei fortunato, sennò ti toccano quindici giorni in India con quelli lì (quello lì).
Grillo scomunica, Grillo striglia, Grillo parla tutti i giorni dal blog, ma a chi parla, Grillo? All’elettore, si dice. Ma pure quello chissà, magari è già tornato dov’era, sostituito da un altro elettore venuto da chissà dove. I sondaggi reggono, ma bisogna vedere come. Carlo Freccero, uomo di tv e semiologo, osservatore di lunga data del fenomeno Grillo, dice che “la zona di elettorato genericamente contro i partiti è talmente vasta che gli elettori si spostano e viaggiano alla velocità degli elettroni. C’è un continuo rimescolamento. Da chi è composto lo sciame, ora? Grillo è sempre in contatto con l’opinione pubblica, ma si assiste a uno strano caso: è come se la rete enfatizzasse il primato dell’opinione pubblica, come se la tv generalista continuasse a vincere su internet, come se Grillo usasse la rete in senso maggioritario – l’ha già fatto Silvio Berlusconi con televisione e sondaggi, solo che è il contrario di quello che Grillo voleva in partenza”.
Erano conquistati dalla forma, gli adepti e anche i neogrillini per vendetta, quelli che hanno votato Cinque stelle solo per dire “stavolta diamo una lezione al Pd”. Erano rapiti dall’involucro, dal Grillo che si incarnava sui palchi come forza sovrumana. Ma poi? Il nonsense sta anche in quell’energia inesplosa, intrappolata nei dettagli imposti da Grillo e Casaleggio, ripetuti a macchinetta dagli eletti e ora rifiutati dagli stessi eletti come fossero roba indecente mai vista prima. 
“La chiusura al mondo esterno che si è vista fin dall’ingresso in Parlamento”, dice Freccero, “è una contraddizione: la volontà di non-contaminazione contrasta con il principio dell’intelligenza collettiva della rete in cui i Cinque stelle dicono di credere. Aleggia su di loro il mito da ‘pianeta Gaia’ di Casaleggio, ma se una teoria e una mente ti sovrastano a tal punto, che intelligenza collettiva è? Così scompare la sintesi riuscitissima che abbiamo visto in Grillo, uno che poteva essere in empatia con le paure, i gusti e l’anima della provincia e al tempo stesso in ascolto rispetto alla rete”.
Forse i grillini eletti che bramano la metamorfosi in “parlamentare di buonsenso”, e gli elettori non rilevabili dai sondaggi, quelli fuggiti e rimpiazzati da altri “elettroni” anti partitici (poi si vedrà), si sono visti improvvisamente allo specchio, uno specchio che anche prima rimandava quell’immagine – la setta, Grillo, Casaleggio, i post con annesso diktat (“o così o fuori”), gli sforzi goffi per la manutenzione della setta, i video irresistibili per i profani, con Grillo infuriato di notte dal salotto di casa sua. Solo che prima tutti ci vedevano il paradiso, in quello specchio. 
E però “si è interrotto il flusso di comunicazione tra i quattro livelli del mondo a cinque stelle, in cui si va dal leader assoluto agli eletti agli attivisti agli elettori: Grillo si rivolge soltanto agli elettori, ex o potenziali”, dice Paolo Natale, docente di Scienza della politica presso l’Università Milano Bicocca, editorialista di Europa e coautore, con Roberto Biorcio, del libro “Politica a Cinque stelle” (uscito la primavera scorsa per Feltrinelli). “Le cose funzionavano finché Grillo, incoronato mentore dalla rete, si faceva megafono”, dice Natale, convinto all’inizio che l’ex comico “potesse anche essere garante di una crescita del M5s a livello parlamentare. Poi le micro conflittualità hanno preso il sopravvento, vuoi perché gli eletti avevano erroneamente pensato di potersi muovere in autonomia sul territorio, vuoi perché un successo di simile portata non era stato previsto da vertici che pensavano di fare opposizione dura, non di sentirsi chiedere ‘allora fate l’alleanza?’. A livello intermedio, invece, gli attivisti e gli eletti vedono i post sul blog di Grillo e dicono: ma che figura ci facciamo con gli elettori? Anche se in realtà gli elettori, a giudicare dai sondaggi, sembrano infischiarsene, di quello che dice Grillo. Il vero problema è la mancanza di un programma politico, di un progetto per il futuro”.
Gira che ti rigira, pure quelli che rivoterebbero M5s non sanno più che cosa c’è dentro al M5s. Grillo guarda con fastidio i suoi e i suoi guardano Grillo come fosse il parente fisso del pranzo domenicale. Eppure li aveva sollevati lui da un destino qualunque di indignati smanettoni del web, persone non più simili a lui e tra di loro degli elementi-campione di un sondaggio: un po’ operai, un po’ studenti, un po’ casalinghe, un po’ professionisti, un po’ disoccupati, un po’ nord e un po’ sud. E si pretendeva (lui pretendeva) di farli parlare con una sola voce (del web, per giunta). Se non è nonsense, è sortilegio di un attimo. Poteva riuscire, in quell’attimo, un anno fa, al Grillo-antropomorfo, mezzo uomo e mezzo pesce tra le onde dello Stretto di Messina. Ma vai a ricordarti, ora, la formula magica.

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